L’informazione, l’Ordine da riformare, le provocazioni dei Grillini e del Pd

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I consiglieri di minoranza e la riforma che non c’è. Il Parlamento latita, il M5S vuole abolire l’Ordine, il Pd propone un Consiglio nazionale di 18 membri…
Il sistema dell’informazione (dalla televisione ai quotidiani, dalle celebri e dominanti testate alle piccole imprese periferiche) in Italia vive o sopravvive da anni in uno stato di grave sofferenza per tanti e complicati motivi.

Che il rimedio sia l’abolizione dei finanziamenti pubblici è difficile sostenerlo. Lo sostiene solo il Movimento Cinque Stelle secondo quella sua vena più punitiva che riformatrice, ignorando tanto la storia quanto l’insuperabile necessità per ogni paese democratico di garantire pluralismo (per questo a diverse latitudini si sono concepite forme di “finanziamento pubblico”).

L’abolizione dell’Ordine non è la soluzione
Se poi si pensa – ancora il Movimento Cinque Stelle in prima linea – che un gradino nella scalata verso non si capisce bene quale meta (forse la libertà d’espressione: ma questa è già garantita dall’articolo 21 della Costituzione) sia rappresentato dall’abolizione dell’Ordine viene da rabbrividire, pensando alle responsabilità che l’Ordine ha o dovrebbe avere di fronte ai cittadini e ai lettori su questioni fondamentali, come la formazione dei giornalisti e il rispetto della deontologia professionale (fondamentale in questo paese visto che l’etica pubblica è assai fiacca).

Ma la riforma non può più aspettare
Ha ragione Gabriele Dossena, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, quando in una lettera al Corriere della Sera sostiene che l’Ordine che noi tutti conosciamo rappresenta un organismo “obsoleto, burocratizzato e costoso”. Ma se l’Ordine lo è diventato, è perché nessun parlamento si è mai dato pena di aggiornare, cambiare, rivoluzionare, quella legge istitutiva varata nel 1963, cinquantadue anni fa, specchio di un sistema che si riassumeva nei giornali, in una rete televisiva, nella radio pubblica, forte di una cultura maturata nel mezzo secolo alle spalle, senza ancora traccia di internet, di blog, di facebook.

Una legge – e non è un particolare irrilevante – che ha determinato con un semplice calcolo matematico (sulla base degli iscritti) l’abnorme numero dei consiglieri nazionali: l’anno prossimo si arriverà, senza riforma, a circa centocinquanta.

Il Consiglio nazionale e Liberiamo l’Informazione
Le proposte Il Consiglio nazionale non ha però, per la verità, assistito bulimico e inerte al suo degrado nell’obesità, per quanto diviso. Da anni si discutono, anche tra profonde lacerazioni, e si approvano proposte di riforma, che vengono regolarmente presentate ai ministeri competenti. Da anni la componente Liberiamo l’informazione, purtroppo minoritaria nel Consiglio nazionale (quella che s’era presentata all’ultima consultazione elettorale sotto lo slogan “o si cambia o si chiude”), discute e presenta propri progetti, l’ultimo dei quali, a firma “Bonini-Rea”, indicava come priorità la drastica riduzione del numero dei membri del Consiglio, la definizione delle vie d’accesso alla professione (attraverso corsi di laurea dedicati), l’obbligo alla formazione permanente, la conferma di un ruolo di garanzia della deontologia professionale, eccetera eccetera… Come lo stesso Gabriele Dossena ci pare indichi.

Il Parlamento latita e il Pd fa proposte irrealistiche
Purtroppo il Consiglio non può autoriformarsi e, tanto meno, potrebbe riformare il Consiglio una minoranza, per quanto virtuosa. Di questo lavoro, di cui Dossena sa bene, si spera tenga conto chi ha il compito e la possibilità di legiferare.

Che il Pd abbia preso pure in considerazione la riforma dell’Ordine dei giornalisti, confinata in un paio di righe dentro un corpo legislativo ben più complesso, non può che risultare una buona notizia. Peccato che la riduzione a diciotto membri del Consiglio nazionale (sull’esempio di altri Ordini, avvocati, notai, farmacisti… che nessuno sembra voglia abolire, peraltro) più che drastica sia irrealistica, visto che dodici eletti dovrebbero subito trasmigrare nel Consiglio di disciplina nazionale. Ma è un segnale e come tale con favore lo si deve considerare. Ricordando ai nostri parlamentari (e agli eventuali lettori) che sul tema qualcuno nel Consiglio nazionale ha lavorato e prodotto, dopo una bella, ma dura e lacerante discussione, con qualche esperienza concreta alle spalle.

Gegia Celotti, Andrea Leone, Stefano Jesurum, Anna Migliorati, Saverio Paffumi (membro del Consiglio nazionale di disciplina), Oreste Pivetta, Luisella Seveso


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