Profughi: arginiamo la barbarie della parola #nohatespeech

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A sorpresa, per molti, la Germania di questi ultimi giorni si sta proponendo come portabandiera dei diritti umani dei rifugiati.
Prima con l’apertura delle frontiere , poi con l’invito al settore dell’auto a dare opportunità di lavoro agli stranieri, Angela Merkel sta dando di se’ un’immagine inedita di politica lungimirante, che guarda ai rifugiati non solo con umanità ma anche considerandoli una possibile risorsa.
Ma la Germania non si è fermata qui. Il ministero della Giustizia tedesco ha chiesto a Fb di collaborare per contrastare hatespeech, e xenofobia on line. Questa iniziativa fa seguito ad aspre critiche da parte del ministro della Giustizia Heiko Maas contro Facebook, che ha accusato di non fare abbastanza per controllare l’hatespeech sul social network.
Il risultato di questa richiesta di impegno è la nascita di una task force ( grazie alla partecipazione di vari internet service provider e social network) che avrà il compito di individuare ed eliminare il più velocemente possibile dalla Rete i contenuti che incitano all’odio.
L’iniziativa fa leva sulla legge tedesca secondo la quale coloro che diffondono pubblicamente commenti che incitano alla violenza contro un particolare gruppo su base etnica o religiosa sono punibili con pene fino a tre anni di detenzione.
E’ facile immaginare le ragioni storiche per cui la sensibilità tedesca su temi come l’incitazione all’odio razzista e religioso sia molto spiccata. Ma in Italia?
Ci si domanda che tipo di risposta avrebbe un’iniziativa del genere nel nostro Paese. E’ possibile che verrebbe agitato lo spauracchio della Censura , della morte della Libertà di esprimere pubblicamente il proprio pensiero. Chissà se verrebbe preso in considerazione il rispetto per la dignità umana e per i diversi credo religiosi…
A prescindere da tutto credo che la responsabilità del principio di salvaguardia della dignità umana, nel campo della comunicazione, spetti in gran parte a noi giornalisti. Non per arrogarci un potere che non abbiamo, ma perché le parole sono il nostro pane quotidiano. Perché ne conosciamo la potenza e i limiti. Perché,per rispettare la nostra deontologia professionale, sappiamo di dover essere i primi a non poter venir meno al principio di cui si parlava, quello del rispetto della dignità umana.
E a dover trovare il modo di arginare la barbarie della parola, pericolosa quanto altre violenze ben più visibili.


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