Si parli meno delle colpe di Martina e più del supremo interesse del piccolo Achille

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Martina Levato e Alexander Boettcher vengono condannati a 14 anni per aver sfregiato con l’acido l’ex fidanzato di lei, Pietro Barbini. Hanno un figlio, che nasce dopo la sentenza di primo grado, Achille. Il Tribunale dei minori deve decidere per il futuro del bambino. Le perizie sui genitori e quelle sui nonni non sono favorevoli al punto di ipotizzare un affido. Annamaria Fiorillo, magistrato milanese Che si occupa del caso, dopo la camera di consiglio conferma la  richiesta di adottabilità per il minore. stabilendo però che intanto la madre lo potrà vedere, senza allattarlo, mezzora al giorno alla presenza di due assistenti sociali. Da poche ore madre e figlio sono in due strutture distinte. Martina a San Vittore. Questo in attesa che la richiesta di adottabilità faccia il suo corso.

Intanto il Paese, grazie anche ad una eco mediatica senza precedenti, si divide in chi vuole che venga adottato e allontanato dalla famiglia naturale e chi, invece, ritiene che allontanarlo dai genitori sia  una crudeltà. C’è chi cita, ovviamente, la convenzione sui diritti del fanciullo dell’Onu che, all’art. 3, prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione preminente.

I social network si riempiono di discussioni, sebbene fatte senza una profonda conoscenza degli atti del Tribunale minorile, e si legge di tutto. Commenti chi vorrebbe la pena di morte per i genitori o la loro castrazione chimica, a chi invece attacca il sistema giudiziario minorile accusato di non tenere conto dell’inviolabilita del rapporto madre-figlio.

Il caso dei genitori di Achille è stato paragonato, forse impropriamente, con la vicenda di Cogne. Un’altra storia di violenza. Era il 2002  quando il piccolo Samuele, secondogenito, venne ucciso a Cogne. Il processo stabilì che l’autrice di quell’omicidio fu la madre, Anna Maria Franzoni. Per questo venne condannata, nel 2008, a 16 anni di carcere. Nel 2003, divenne nuovamente mamma e dal 2014 è ai domiciliari. Vive sola, col figlio ultimo nato oggi dodicenne, perché il marito e il figlio maggiore lavorano all’estero.

Ma nel corso del periodo scontato in carcere Anna Maria Franzoni, per la giustizia italiana assassina del proprio figlio, ha avuto molti permessi per stare in famiglia e continuare a frequentare i figli.

Perché, dunque – in molti si chiedono – si sarebbe dovuta allontanare Martina Levato dal piccolo Achille, visto che fino al terzo grado di giudizio la sua colpevolezza rispetto al reato contestatole non sarà definitiva giudicando pregiudizievole già prima di verifica, la sua capacità genitoriale?  Perché allora proporre di rendere adottabile il figlio?

Sarebbe importante che un caso mediatico come quello che è all’attenzione dell’opinione pubblica riuscisse ad aprire un capitolo di discussione più ampio nel Paese, anche alla luce di richieste che arrivano da  associazioni a tutela dei diritti umani, dalla politica, da parte del mondo giudiziario che vorrebbero una modifica della giustizia minorile.

Un capitolo che porta anche alla eccessiva discrezionalità con cui viene accertata la Competenza genitoriale.

Mentre si sono fatte e si fanno lunghe e accorate discussioni sul caso di Cogne all’epoca e su quello di Martina Levato oggi, la giustizia minorile stabilisce la competenza genitoriale basandosi su consulenze tecniche d’ufficio (CTU) che spesso, in virtù della discrezionalità della materia rischia di non avere criteri omogenei di valutazione su territorio nazionale. Ci sono casi eclatanti di disparità in cui, ad esempio, uno stesso genitore per il tribunale è adeguato e magari non lo è per un altro figlio nato da una relazione precedente o successiva.

Il vero problema sta nel fatto che la gestione della tutela dei minori è affidata a perizie psicologiche. E le perizie psicologiche sono compilate da professionisti diversi con diverso modo di valutare la complessità umana. Così l’interpretazione  di uno psicologo a volte è molto diversa da quella che potrebbe esprimere un altro collega. E la decisione del magistrato si basa anche e soprattutto proprio su tali perizie.

Da fonti ufficiali del 2011, in Italia i bambini da 0a 17 anni fuori dalla famiglia di origine, sono 29.388. Le motivazioni vanno dalla difficoltà educativa della famiglia (26.51%) alla conflittualità genitoriale (12.91%) dai problemi gravi di uno dei due genitori (21.44%) ai problemi economici (1.90%) abuso e violenza (3.52%).

C’è un caso recente, arrivato sulla stampa. Quello della quattordicenne ballerina ferrarese. Rischia di finire in casa famiglia. E’ stata cresciuta dalla madre e abbandonata dal padre quando aveva un anno e mezzo. Il padre torna in Italia lo scorso anno  e chiede di ricostruire un rapporto con la figlia. La madre acconsente ma dopo alcune settimane nota una certa avversione della ragazza. Viene contattato il Tribunale e il giudice, ascoltando la giovane, viene a conoscenza di alcuni atteggiamenti troppo morbosi da parte del papà. Interviene un consulente tecnico d’ufficio (CTU), fa una perizia. Nonostante non si rilevi nulla nei confronti della madre, il tribunale dispone che si individui una struttura. E la ragazza rischia ora di non potere studiare danza in accademia a Roma, strappata da quella che è la sua vita normale.

Oppure  ricordate il bambino di Cittadella conteso a forza dai genitori? L’immagine che ritrae il piccolo Giorgio (nome di fantasia) dopo che era stato prelevato da scuola, tirato dai piedi e dalle braccia, è rimasta scolpita nella memoria collettiva. Il bambino era stato consegnato al padre dopo un intervento delle forze dell’ordine, in esecuzione di un provvedimento di affidamento. La Cassazione nel 2013 ha accolto il ricorso della madre e ha disposto che il caso venisse ritrattato. Perché le motivazioni dell’allontanamento del minore basato sulla diagnosi di Pas, non trova supporto scientifico.

L’avvocato Girolamo Coffari, legale della madre, sottolinea che “la sentenza  della cassazione fa a pezzi la Pas (sindrome alienazione parentale).

Che cosa è?

La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), nelle sue Linee guida in tema di abuso sui minori, pubblicate nel 2007, ha incluso la PAS tra le possibili forme di abuso psicologico, laddove, invece, l’ex presidente della Società Italiana di Psichiatria, prof Mencacci definisce la PAS “priva di presupposti clinici, di validità e di affidabilità”. Attualmente infatti questa sindrome dai contorni indefiniti non è inserita nel DSM5 ( il manuale diagnostico più prestigioso al quale la comunità scientifica mondiale fa riferimento) come patologia.

O la storia del piccolo Federico Barakat, assassinato  dal padre  durante una visita “protetta”  nella sede dell’Ausl di San Donato Milanese.  Era il 25 febbraio del 2009. Antonella Penati la madre, nonostante le innumerevoli denunce fatte nei confronti dell’ex compagno che risultava essere persona violenta e poco equilibrata, non fu presa in seria considerazione e venne costretta a portare il figlio Federico ad incontrare il Padre, colui che poi sarebbe diventato il suo carnefice.

O Erica Patti che come Antonella Penati aveva denunciato la violenza e la pericolosità del marito da cui era separata chiedendo aiuto e protezione alle istituzioni e come Antonella ha subito il più atroce dei lutti: la morte dei propri figli Davide e Andrea per mano dell’ex, Pasquale Iacovone che per quel crimine è stato condannato alla pena dell’ergastolo nel dicembre 2014.

Casi diversi l’uno dall’altro  dove la tutela del minore  passa attraverso giudizi non solamente presi sulla base di una legislazione ma sulla valutazione psicologica “imperfetta” che troppo spesso compromette  l’esatto corso della giustizia.

E questo in realtà fortemente differenti dove la tutela del minore ha profili non troppo chiari. Casi in cui i bambini dovrebbero essere tutelati e non lo sono stati, e casi in cui c’è eccessiva ingerenza dello stato all’interno della famiglia.

Il tema, dunque, resta quello di una giustizia che non abdichi nei confronti dei pareri delle Consulenze Tecniche di Ufficio e che riesca a distinguere quei casi dove c’è reale pericolo e non viene calcolato con conseguenze che salgono agli onori della cronaca nera da quelli che allontanano i figli dai genitori in casi certamente meno gravi e nei quali al centro non c’è l’interesse prioritario del minore, dei suoi affetti, della sua vita familiare procedendo superficialmente al suo allontanamento dalla madre o dal padre. 30mila minori in Italia fuori dalla famiglia d’origine, dato più alto in Europa, significa o che gli italiani sono un popolo con scarsa adeguatezza genitoriale o che il problema giustizia, ormai evidente a tutti, coinvolge anche la giustizia minorile come quella civile o penale.


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