Egitto, sulla stampa un controllo opprimente

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“Per la legge anti-terrorismo, fino a ora hanno solo annunciato una nuova versione dell’articolo 33. Per i giornalisti che pubblicheranno notizie non in linea con quanto diffuso da fonti governative su attacchi terroristici, sara’ prevista solo una grossa multa, non piu’ il carcere. Ma e’ assolutamente ingiusto, nessun giornalista sara’ nelle condizioni di pagarla.”

A parlare e’ Khaled Al Shelby, membro del Sindacato Egiziano dei Giornalisti, pochi giorni prima dall’approvazione della legge. La multa di cui parla Al Shelby va dai 25 mila ai 65 mila dollari. Nessun reporter potra’ mai pagare cifre simili. Si lascia intervistare nel palazzone che ospita il  Sindacato a poche centinaia di metri da Piazza Tahrir, il luogo simbolo della rivolta anti-Mubarak nel 2011. Sul muro d’ingresso dei grandi murales ritraggono i volti di quattro giornalisti uccisi negli ultimi due anni, durante degli scontri con le forze dell’ordine.

Oggi in Egitto non si manifesta piu’ contro il governo, se lo si fa, si finisce in carcere. Attorno al presidente Al Sisi c’e’ un consenso in parte reale in parte forzato, in un paese che dopo anni di disordini vuole solo ripartire, ma che deve fare i conti con una minaccia terroristica crescente. Il prezzo da pagare in nome della sicurezza pero’ e’ elevato. E quella dei giornalisti e’  tra le categorie piu’ colpite.

La nuova legge anti-terrorismo, appena approvata,  prevede pene da 5 anni al carcere a vita fino alla pena di morte per chi si macchia di crimini legati al terrorismo. E il controllo sulla stampa diventa opprimente. “Temo che la gente ora pensi che noi rifiutiamo solo l’articolo 33 della legge, ma siamo contro l’intera legge perche’ rende la fonte governativa l’unica fonte di verita’. E questo va contro la liberta’ di espressione”, prosegue Al Shelby. Ma il governo di al Sisi che Al Shelby definisce a piu’ riprese una nuova dittatura, gia’ da tempo ha cominciato il suo controllo sulla stampa. Lo sanno i giornalisti che ogni giorno si trovano a dover fare i conti con una censura continua.

“E’ difficile pubblicare articoli che si occupino di politica, di tutela dei diritti umani o anche di economia”, spiega Emad Syad Ahmed, direttore del quotidiano Al Masry al Youm, nato durante l’era Mubarak e che ha sempre rappresentato una voce critica nei confronti del governo di turno. “In queste settimane in cui tutta l’attenzione si e’ concentrata sull’inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez, non si poteva pubblicare un articolo che non avesse un tono elogiativo”, aggiunge. Per Emad Syad Ahmed, la vita del suo giornale potrebbe non essere ancora lunga, sono arrivati gia’ diversi segnali di un chiaro “fastidio” da parte del governo rispetto a cio’ che ogni giorno viene pubblicato dal quotidiano.

Censura, ma anche molta auto-censura. Ne e’ convinta Shahira Amin, giornalista televisiva. Ai tempi della rivolta del 2011 era il direttore del canale in lingua inglese di Nile Tv. Dopo quanche giorno dall’inizio delle manifestazioni anti-Mubarak decise di dimettersi perche’ la tv di stato non raccontava quanto stava accadendo in Piazza Tahrir. “Con questa ondata ultranazionalista che attraversa il paese – dice Shahira – i giornalisti vogliono apparire patriottici. Se ci si allontana da quella che e’ la narrativa ufficiale, allora si viene subito indicati come nemici dello Stato, traditori e legati a gruppi terroristici”.

A oggi secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, ci sono 18 reporters in carcere per il lavoro che stavano svolgendo, ma il governo insiste sul fatto che avessero legami con i Fratelli Musulmani, movimento dichiarato illegale da Al Sisi dopo la dura repressione di due anni fa.

Eppure qualcosa e’ cambiato dal 2011, soprattutto tra le nuove generazioni. “Troviamo ancora dei giovani giornalisti che si oppongono alla censura – spiega Shahira Amin – si sono opposti all’impegno preso da molti direttori a non criticare l’esercito, il governo e il sistema giudiziario. Questi giovani hanno detto “no, questo non e’ giornalismo “ e si sono ribellati. Ma la forza e’ data dai numeri e dall’unita’. Credo che oggi tutti i giornalisti qui in Egitto debbano essere uniti per combattere in nome dela liberta’ di stampa”.


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