Mafia, occorre lavorare per unire gli interessi offesi

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Esiste ancora, nel XXI secolo, una questione meridionale? Purtroppo, sì. Anzi, lo scenario della grande crisi globale degli ultimi anni ne ha aggravati tutti i contorni. La pur timida ripresa che sembra interessare il nostro paese, sinora non ha avuto alcun riscontro nelle aree meridionali. In questo quadro, la Sicilia spicca per i suoi peggior dati sull’occupazione e la povertà. Una situazione che, a nostro modesto parere, dovrebbe suggerire ai governi quantomeno un’attenzione politica e un’individuazione di obiettivi d’investimenti e di sviluppo adeguati alla gravità del caso. Di tutto ciò non c’è traccia nel dibattito politico regionale né in quello nazionale.

Emerge una distanza siderale tra la drammaticità sociale e i contenuti del dibattito politico, tra politica e società, sopratutto in Sicilia. Naturalmente ci sono pure le responsabilità della società civile, ferma più alla protesta che alla proposta, ma i recenti sviluppi politici siciliani (caso Tutino, dimissioni Borsellino, impasse assembleare, fibrillazione e mobilità nella maggioranza e nelle opposizioni ) dimostrano che siamo a un punto di non ritorno. O, di fronte la crisi, c’è un’assunzione di responsabilità della classe dirigente politica, regionale e nazionale o andrà tutta a casa. È una pia illusione pensare che scaricare tutto sulle contraddizioni, sulle insufficienze o sulle esasperate politiche di comunicazione di Crocetta o di qualcun altro possa assolvere e rilanciare il centrosinistra al governo della Regione dimenticando di aver vinto le ultime elezioni per la divisione del centrodestra, nel quadro di un forte astensionismo e coll’impegno di radicale cambiamento. D’altra parte è un errore dimenticare che il fallimento di Cuffaro come di Lombardo ha trascinato nella sconfitta l’intero centrodestra escludendo che ciò non possa ripetersi per il centrosinistra. I cittadini, almeno quelli che andranno a votare, preferiranno votare il primo asino convincente che vola pur di liberarsi senza alcuna distinzione di ruolo, con un voto di rabbia e impotenza, di tutti coloro che appaiono corresponsabili della crisi. Quindi, il quesito non è se andare al voto anticipato, ma se c’è una classe dirigente che si rende conto della scollatura attuale tra la sua politica e la gente.

Più della metà delle famiglie siciliane vive in povertà, dal 2008 si registra una continua caduta del reddito, un’austerità penalizzante in modo particolare il Sud, una corruzione diffusa, una presenza più invadente delle mafie nello scenario politico ed economico, tutto ciò non dovrebbe diventare l’assillo, l’incubo di una classe dirigente consapevole della propria responsabilità? Invece non è così. Attenderemo il prossimo dibattito all’Ars sulla vicenda Tutino, sulle dimissioni di Borsellino, sull’esistenza negata d’intercettazioni gravi. Dal quadro d’intrighi, di cerchi magici, di antimafia retorica rinfacciata, di candidature annunciate sull’onda di un’antimafia “vera”, il cittadino comune potrà avere la sensazione del fallimento storico di tutta l’antimafia politica, economica e sociale suggellando una vittoria della mafia che può essere repressa momentaneamente, ma non cancellata. Niente di più falso e antistorico.

Sappiamo che la mafia è questione di classe dirigente, oggi come ieri. Mafia Capitale, sistemi finanziari protettivi e inclusivi dell’economia criminale e corruttiva, diffusione delle mafie nelle regioni del Centro Nord, collaborazione transnazionale tra le varie mafie ci dicono della sottovalutazioni o peggio delle complicità della classe dirigente di centro destra come di centro sinistra, pur nelle debite distinzioni di ruolo. Cosa fare? Non basta analizzare il fenomeno e protestare, cosa utile e irrinunciabile. Occorre lavorare per unire gli interessi offesi, senza illusioni ma con la speranza di poter contribuire al cambiamento. Dal Progetto educativo antimafioso alla pubblicazione di A Sud’Europa alla campagna di sottoscrizione del disegno di legge d’iniziativa popolare contro la povertà assoluta promosso dal Comitato No Povertà e a tante altre iniziative nazionali e europee, il Centro Pio La Torre svolge la sua azione antimafiosa, senza ritenerla l’unica possibile, lontano dalla retorica, soffrendo a volte dello scarso interesse mediatico perché non rincorre la dichiarazione roboante né il presenzialismo formale, non celebra gli anniversari con processioni tipo Corpus Domini, ma si permette ogni giorno di ricordare, con modestia, che c’è la mafia perché c’è una parte della politica che la protegge e la usa, vanificando gli sforzi di quanti nella società, nello Stato, nella politica, nell’economia pensano e credono che invece essa vada cancellata.


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