Loro, in Grecia, fanno così

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Loro, in Grecia, fanno così. Di fronte a un ricatto odioso e inaccettabile, sferrato dalle istituzioni internazionali e finanziarie col solo scopo di cacciare un governo sgradito, in quanto simbolo e punto di riferimento di chi sogna un’altra Europa (o, per meglio dire, il ritorno alla vera Europa), non si sono chiusi in una stanza a decidere in pochi sul destino della collettività ma hanno restituito la parola al popolo, rivendicando i più nobili princìpi della democrazia.

Loro, i greci, che la democrazia e il senso di comunità li hanno inventati nelle agorà della Atene di Pericle e rafforzati grazie agli scritti di storici, filosofi e studiosi che tuttora leggiamo e traduciamo, di fronte al tentativo di strangolare e ridurre al silenzio un esecutivo democraticamente eletto, hanno reagito stringendosi intorno alle due figure, Tsipras e Varoufakis, che per mesi si sono recate a Bruxelles a pretendere dignità e rispetto per il proprio popolo. E così, questa Nazione piccola, fragile, immiserita da anni di crisi e disperazione, straziata e ridotta ormai quasi alla fame, questa umile ma dignitosa popolazione ha risposto all’arroganza dell’oppressione tecno-burocratica con l’orgoglio di chi è stanco di subire passivamente e vuole tornare ad essere protagonista del proprio destino.

Si è votato in un referendum convocato in fretta e furia, i mezzi d’informazione e le cancellerie internazionali si sono scatenati, leader politici un tempo stimabili e oggi irriconoscibili si sono lasciati andare a minacce criminali, i ricatti sono stati innumerevoli, al pari dei tentativi di terrorizzare le persone e di prenderle per stenti, ma nonostante tutto il popolo greco ha preferito fidarsi di chi si sta battendo al suo fianco piuttosto che dei burattini che, eseguendo pedissequamente gli ordini della Troika e del capitalismo liberista, lo hanno ridotto nelle condizioni in cui versa attualmente.

Non bisogna sottovalutare, infatti, alcuni dati di merito: innanzitutto, il fortissimo voto contrario espresso dai giovani, ossia dalla fascia della popolazione che più di tutte ha pagato e rischia di pagare i costi della crisi, sotto forma di mancanza di lavoro, di assenza di prospettive, di salari indegni di un paese civile, di rassegnazione, sconforto e disincanto collettivo; in secondo luogo, il fatto che i voti favorevoli si sono concentrati soprattutto in quella fascia d’età che ha più difficoltà ad accedere alle nuove tecnologie, che fa fatica ad informarsi in rete, che sotto alcuni punti di vista è meno consapevole e che è stata, dunque, maggiormente condizionata dai richiami terroristici di chi brandiva come una clava il rischio che il governo di Atene non fosse più in grado di erogare le pensioni; infine, ed è un dato statistico estremamente rilevante, la netta affermazione del NO, ben al di sopra delle più rosee aspettative.

Tutto questo dovrebbe far ben sperare anche noi italiani. Diceva, difatti, Enrico Berlinguer, che un vero cammino di progresso, rinascita e cambiamento effettivo della società, fin nei suoi gangli più profondi, sarebbe potuto avvenire solo se i giovani avessero trovato un nuovo protagonismo, se avessero trovato la forza di unirsi alle masse lavoratrici, se avessero avuto la capacità di recuperare uno spirito critico e costruttivo al tempo stesso, in poche parole se avessero riscoperto la gioia e la necessità di essere un popolo: cittadini e non sudditi, manifestanti consapevoli e non meri seguaci di questo o quel leader, di questa o quella tendenza.

Loro, in Grecia, hanno fatto così. Hanno votato a gennaio per Syriza e hanno confermato il loro voto in una domenica di luglio, respingendo le strumentali accuse di populismo, i diktat, i memorandum insostenibili e le promesse di clemenza ormai prive di ogni credibilità, rifiutando la ferocia di questa non Europa dimentica e traditrice dei suoi ideali costitutivi e inviando un chiaro messaggio anche al fu PSE, attualmente subalterno al liberismo sfrenato e privo di una cultura politica e di un’identità autonome.

Loro, in Grecia, hanno inviato alle periferie del mondo l’invito a ribellarsi alla peggiore delle dittature: quella del “non ci sono alternative” (non a caso, inventata da Margaret Thatcher), quella del pensiero unico dominante, quella della prevaricazione dei forti sui deboli, quella della barbarie legalizzata e accettata supinamente da opinioni pubbliche sfibrate, quella della disillusione, della resa collettiva, della cittadinanza passiva incapace di reagire a qualunque stimolo, quella che ha condotto l’intero Occidente nel baratro in cui siamo sprofondati da oltre trent’anni.

Perché la verità è che, come Obama ha iniziato a seppellire il reaganismo in America, così Tsipras ha iniziato a seppellire il thatcherismo in Europa, col suo carico di austerità, privatizzazioni selvagge, rigore fine a se stesso, umiliazione e degrado della cosa pubblica, devastazione della politica e dei suoi valori, scomparsa della democrazia rappresentativa, negazione di qualunque forma di democrazia diretta e sostituzione dei princìpi costitutivi dell’Europa unita con un’oligarchia autoreferenziale che ha messo in ginocchio intere nazioni, a cominciare dalle più fragili, massacrate con pretese irricevibili sul piano economico e abbandonate a se stesse di fronte all’emergenza delle migrazioni da aree del mondo ancora più povere e bisognose di solidarietà.

Pertanto, sbaglia anche chi sostiene la tesi secondo cui, visto l’esito del referendum greco, avrebbe perso l’Europa: l’Europa ha vinto alla grande, è la non Europa dei codardi e dei cialtroni ad aver perso e questo deve essere motivo di gioia per tutti.

Diciamo che è un primo passo verso la riconquista di una compiuta sovranità popolare; diciamo che, pur consapevoli delle difficoltà che ci attendono come europei, sarà dura per i falchi modello Schäuble ignorare questa lezione di democrazia; diciamo che il socialismo europeo, se vorrà tornare ad essere minimamente credibile, dovrà ripensarsi e liberarsi dalla gabbia in cui si è auto-imprigionato da tempo; diciamo che i negoziati riprenderanno e, per quanto l’odio verso Tsipras e Varoufakis aumenterà ancora, giungeranno forse ad un approdo sostenibile per entrambe le parti (si spera); diciamo che gli speculatori finanziari si accaniranno contro la periferia d’Europa ma dovranno fare i conti con lo scudo posto da Draghi a difesa della solidità della casa comune; diciamo che l’ansia, l’agitazione e, probabilmente, il panico che si è diffuso lungo l’asse franco-tedesco è un’ottima notizia, benché il rischio di una ritorsione contro il governo di Atene sia ora altissimo; diciamo tutto questo e vediamo cosa accadrà nei prossimi giorni.

Una cosa, però, è certa fin da subito: Davide che si ribella a Golia, il sorriso sui volti della gente che spazza via, almeno per qualche ora, la paura per l’andamento dei titoli in borsa, la realtà quotidiana di una collettività che si riprende la scena, strappandola alle logiche immateriali di una ricchezza appannaggio di pochi, è sempre una bella storia da raccontare; una storia che profuma di fratellanza, di dolcezza, di speranza; una storia europea, nel senso migliore del termine, in linea con lo spirito che caratterizzò il Vecchio Continente nell’immediato dopoguerra.

Loro, in Grecia, fanno così, impartendo una lezione di democrazia e libertà a tutti i popoli che non hanno ancora avuto la possibilità di imitarli. E noi?


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