La luce vince l’ombra. La legalità l’illegalità

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È questo il leitmotiv che anima la mostra “Gli Uffizi a Casal di Principe”, vetrina della cultura che si radica sul territorio e cerca di costruire cambiamento e rinascita.
Aperta al pubblico – fino al 21 ottobre – è ospitata in quella che fu la casa Egidio Coppola, detto “Brutus” luogotenente di Cicciotto ‘e mezzanotte. Una casa dall’aspetto spavaldo, quasi spaccone, con un ingresso imponente: architrave e colonne in cemento armato. Un’architettura di camorra che i progettisti Raffaele Somonella e Giuseppe e Costantino Diana, hanno pensato di coprire con un’istallazione di pannelli di canapa intrecciati a mano, per ricordare l’antica arte locale della lavorazione della canapa. Ma ad oggi l’istallazione non è ancora pronta – o comunque non montata – e una rete rossa da cantiere sostituisce ancora momentaneamente la parete ventilata in fibra di canapa. Sebbene ci si augura che al più presto i lavori siano ultimati, l’impatto “cantiere” che suscita la facciata esterna dell’edificio riassume bene il concetto di “lavori in corso” di cui la coscienza civica italiana tanto necessita. In realtà, rimanda alla memoria anche i troppi cantieri aperti e mai conclusi dell’Italia del fare, anche nel settore dei beni confiscati, ma questa è un’altra storia.

In una giornata come quella del 19 luglio – mesto anniversario dei fatti di Via D’Amelio – visitare la mostra può gettare nello sconforto. Alle cinque del pomeriggio, nel parcheggio dell’edificio espositivo “Casa di Don Peppe Diana” – al sacerdote, ucciso dalla camorra nel ’94, è stato dedicato l’edificio – ci sono sole le auto del custode e degli “ambasciatori della rinascita”, le guide che accompagnano i visitatori nel percorso museale. Si tratta di 80 volontari che hanno risposto ad un bando pubblico per ricevere una formazione ad hoc, desiderosi di rivivere gli spazi pubblici. Senza voler disconoscere il problema camorristico passato e presente, hanno voglia di fare i distinguo, la stereotipizzazione sta stretta a tutti, anche ai cittadini di Casale. Il rapporto visitatori/guide è uno a sei, rischia di passare il cliché: la cultura non paga. Ma mi devo ricredere dopo un’ora inizia ad arrivare gente:  40°C erano forse un po’ troppi per uscire di casa. La mostra è organizzata molto bene, 19 opere in esposizione, otto provenienti dagli Uffizi, nove da Capodimonte, una dalla Reggia di Caserta e una dal Museo Archeologico di Capua. Escludendo la Matres Matutae di Capua e il Fate Presto di Andy Warhol, esposto a Caserta (opere estremamente legate alla storia del territorio), sono tutti oli su tela. Il percorso è ben studiato e le spiegazioni puntuali. Ad oggi 5.000 visitatori, 2.000 il solo giorno dell’inaugurazione. Come altri siti espositivi forse non sarà economicamente autosufficiente, ma gli incassi – in particolare quelli dei cataloghi – resteranno sul territorio, serviranno a finanziare start up locali.

Il Concerto di Bartolomeo Manfredi e la videoinstallazione Una nuova luce: L’Adorazione dei Pastori di Gherardo delle Notti, distrutte – parzialmente la prima e quasi completamente la seconda – delineano perfettamente gli effetti della criminalità organizzata sul tessuto sociale ed economico dei territori.

Era la notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, in via dei Georgofili a Firenze, nei pressi della storica Galleria degli Uffizi, un’autobomba con 250 kg di esplosivo esplode, 50 feriti e 5 morti. Una famiglia – quella di Fabrizio Nencioni e Angela Fiume con le loro bambine – e uno studente, Dario Capolicchio, muoiono: la motivazione della strage fu la rappresaglia contro la lotta alla mafia, l’esplosivo utilizzato – come in tutti gli attentati del ’92/’93 – fu estratto da residuati bellici recuperati in mare, l’obiettivo da colpire fu deciso – come ricostruito dalle dichiarazioni di Spatuzza – attraverso un dépliant turistico. Non era una guerra tra cosche, anzi ci fu un accordo tra le stesse, si decide di colpire laddove faceva male: nel cuore della città simbolo d’arte nel mondo, nei pressi del museo italiano più conosciuto al mondo. Non si trattò solo di colpire arte e cultura, ma il tessuto sociale ed economico del paese. Ecco il perché del tandem che si è venuto ad istaurare tra gli Uffizi – memori del martirio umano ed artistico del ’93 – e un territorio martoriato dalla camorra quale quello casalese.

Tra le opere più interessanti, oltre alla copia caravaggesca de L’incredulità di San Tommaso, merita di essere menzionata la Parabola di San Matteo, di Salvator Rosa. L’intera opera ruota intorno al versetto Lc 6,39-42, non guardare la pagliuzza nell’occhio altrui ma la trave nel tuo: nell’Italia della stigmatizzazione dei territori e dei popoli, e dei condottieri d’ultima ora, suona quasi da monito.


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