Il caso Verdini e le due settimane cruciali per capire tattiche, strategie e destini, dell’Italia, di Renzi, del Pd, e di Berlusconi

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Di Pino Salerno

La settimana politico-parlamentare che si apre lunedì 27 luglio sarà la penultima prima della chiusura estiva delle Camere e a suo modo decisiva per leggere in prospettiva il destino della legislatura e del partito di maggioranza relativa, il cui segretario è anche premier. Perché? Perché la trama messa in atto da Denis Verdini, uno dei principali “amici”, oggi ex, di Silvio Berlusconi, avrà inevitabilmente conseguenze politiche importanti e decisive. Si tratta, certo, di un’operazione trasformistica di “Palazzo”, ma la formazione di un gruppo autonomo al Senato di verdiniani fuoriusciti da Forza Italia e dal fantomatico gruppo GAL, avrà per effetto, intenzionale, quello di sconvolgere l’attuale quadro politico.

L’operazione Verdini è guidata da Palazzo Chigi

Dov’è lo scandalo, visto che in questa stessa legislatura i passaggi di transfughi da un gruppo parlamentare all’altro sono stati più di duecento? Lo scandalo risiede nel fatto che questa operazione di trasformismo tout court è guidata da Palazzo Chigi, nella persona del sottosegretario Luca Lotti, una delle personalità più influenti del cosiddetto “Giglio magico”, cioè dell’entourage dei collaboratori più stretti di Matteo Renzi. Più volte Denis Verdini ha rivelato pubblicamente di contatti, pranzi e cene con Lotti, senza essere mai smentito, anzi ha addirittura portato in dote quei colloqui con Palazzo Chigi allo stesso Berlusconi per convincerlo a siglare una sorta di patto del Nazareno 2, la cui finalità sarebbe stata quella di giungere alla fine della legislatura condizionando il governo dall’interno, soprattutto sul piano delle riforme. Ma da quest’orecchio l’ex cavaliere è rimasto sordo, evidentemente, o comunque ha valutato di non potersi fidare ancora una volta di Renzi, né dello stesso Verdini.

Gli interessi di Berlusconi, e l’intreccio con le strategie di Palazzo Chigi

Sembra che al termine di un incontro conviviale ad Arcore con Verdini, Gianni Letta e Fedele Confalonieri, il presidente di Forza Italia abbia detto che se Verdini cerca di avvicinarsi all’area di Renzi per trovare una soluzione ai suoi guai giudiziari (quattro richieste di rinvio a giudizio sulle quali il Senato prima o poi dovrà pronunciarsi) avrà una cocente delusione. Mentre, pare abbia sostenuto Berlusconi, la costituzione di un nuovo gruppo di fuoriusciti dalla destra potrebbe essere utile nel gioco delle tattiche politiche, perché metterà in pericolo la tenuta del Partito democratico. Berlusconi, dunque, che non è uno sprovveduto, analizza l’acquisizione di Verdini nell’area della maggioranza, gestita direttamente da Palazzo Chigi, come molto favorevole per arrivare a un doppio risultato: togliersi dai piedi un Verdini divenuto ormai troppo ingombrante anche per lui e produrre nel Pd una sorta di implosione. Decisamente un gran risultato per Berlusconi, e una sconfitta per Palazzo Chigi. Sul piano dei numeri, ragiona Berlusconi coi suoi, si tratta appena di 8 deputati e di una decina di senatori. E se non sarà possibile formare un gruppo autonomo alla Camera, dove sono necessari almeno 20 deputati, dovrebbe essere possibile invece ottenere la deroga al Senato, dove ne basterebbero appunto dieci. E un gruppo d’appoggio al governo al Senato è necessario proprio per effetto dei numeri risicati della maggioranza. Dunque, come scrive un quotidiano molto vicino alla destra come Libero, si tratterebbe di una “pistola puntata alla tempia della minoranza del Pd”. Berlusconi sa bene che i suoi interessi politici si intrecciano, in questo caso, con la necessità di Palazzo Chigi di annullare la sinistra del Pd, e nonostante tutto, ha visto con favore l’iniziativa di Verdini, e della famiglia Bondi, come di altri ex forzisti, come una sorta di manna dal cielo da prendere al volo. Le frasi riportate da Libero relative al dispiacere “umano” di Berlusconi, sembrano più di circostanza che frutto di autentica sensibilità. La verità è che l’iniziativa di Verdini premia gli interessi delle tre parti in causa: lo stesso Verdini che furbescamente pensa a un do ut des nei confronti di Renzi con la mediazione di Lotti, in cui il sostegno alle riforme viene ripagato con un occhio di riguardo verso eventuali precipitazioni giudiziarie; Berlusconi che così potrà tuonare da tutti i pulpiti che il Pd di Renzi alimenta il trasformismo (riducendo, di fatto, a barzelletta la sua condanna a Napoli proprio per la compravendita di senatori); Palazzo Chigi che potrà decostruire la fronda interna, e usare la stampella verdiniana per quel che resta della legislatura.

La minoranza interna del Pd prenda atto del protagonismo di Palazzo Chigi

E la sinistra interna del Pd? In apparenza ha denunciato l’operazione trasformistica guidata da Lotti. L’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, aveva tuonato sabato scorso all’Assemblea del Pd che si sarebbe trattato di “un film dell’orrore”. E oggi in un comunicato scrive: “Aspetto una risposta chiara da Renzi”, come se il segretario non avesse già risposto, coi fatti. E poi Bersani, Cuperlo, D’Alema sono intervenuti per stigmatizzarne l’esito. Quel che sembra mancare, tuttavia, è una riflessione sul centro vero dello scandalo: chi c’è all’origine della trattativa con Verdini e con quale mandato? Nessuno ha mai smentito gli incontri con Luca Lotti, che proseguono da mesi, sia per lanciare un inutile ponte verso Berlusconi (ma se fossi così Lotti avrebbe sbagliato interlocutore), sia per pilotare l’operazione del passaggio nell’orbita del governo di una decina di senatori. Ma Palazzo Chigi non ha sentito il bisogno di smentire neppure la notizia, data dallo stesso Berlusconi, di una trattativa “personale” di Verdini con Renzi a proposito di una copertura sugli effetti parlamentari dei suoi enormi guai giudiziari. Se così stanno le cose, non si tratterebbe più nemmeno di una operazione di mero trasformismo, ma di qualcosa di diverso e di più grave, che la sinistra Pd farebbe bene a denunciare, a prescindere dal voto concreto in Aula, ad esempio sulla riforma della Rai, la prossima settimana. Si tratterebbe della bassa macelleria dello scambio politico che confermerebbe, questa volta in modo dirompente, la mutazione antropologica del Partito democratico renziano, legato al potere a qualunque costo, e disposto a scindere, fratturare, segmentare il partito se non è complice di questo drammatico passaggio. È una deriva triste di un partito e di un segretario, Renzi, che pure avevano sollevato speranze in milioni di persone, tradottesi nel voto europeo del maggio 2014. È una deriva politica, antropologica, intellettuale che non può più essere contrastata dall’interno. Possibile che nella sinistra del Pd non si sollevi l’onda di indignazione pubblica e forte contro questa operazione?

Da jobsnews


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