Le stragi e noi: l’Europa
inerte nel mondo che cambia

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Le stragi terroristiche messe in atto in varie parti del mondo con sincronismo quasi perfetto, ci dicono, oltre le cronache, qualcosa di più generale sulla fase storica nella quale siamo entrati. E soprattutto ci spingono, in quanto europei, come singoli Stati, come Unione e come opinione pubblica, a compiere delle scelte che forse non avevamo previsto di dover prendere.

Diversi analisti concordano su alcuni punti di fondo. Il legame fra l’Isis, il fondamentalismo e la crisi vastissima e dirompente che attraversano varie nazioni araba – Siria, Libia, Iraq – per citare solo alcuni punti cruciali di questo scenario; il dramma sociale generato dalle guerre in corso a bassa o alta intensità e ancor prima dalla attività predatoria nei confronti dei propri popoli da parte di regimi di varia natura, velati di laicità o di islamismo, poco importa, ma accomunati da una stessa vocazione all’autoritarismo e alla spietatezza. Il ridimensionamento del ruolo degli Stati Uniti che con l’amministrazione Obama hanno smesso di ricoprire il ruolo di grande gendarme del mondo. Una scelta che è certamente alla base di molti elementi critici odierni, tuttavia quando fino a pochi anni fa l’America si comportava all’opposto da unica superpotenza globale, i guai in Medio Oriente non furono minori. In questo quadro rientra il tentativo di accordo sul nucleare con l’Iran portato avanti da Washington nel tentativo di ridisegnare gli equilibri mondiali.

A partire da tali elementi, sommariamente elencati, discendono alcune considerazioni che ci riguardano da vicino. Il mancato sostegno europeo alla transizione tunisina e in generale l’assenza di una politica estera mediterranea europea – o di un gruppo di Stati con interessi comuni nell’area – , equivale a un suicidio politico, in particolare per Paesi come il nostro. Ancora, La capacità di gestire in modo corresponsabile e solidale la questione migrazione da parte dell’Unione europea, diventa un punto politicamente discriminante della nostra appartenenza al consesso continentale, da qui passa la battaglia per una revisione della natura stessa dell’Ue, della sua trasformazione in struttura politica in grado di fare fronte alle crisi globali di questi anni (per altro verso lo stesso è vero per la crisi greca). In Italia, infine, il cedimento ventennale al populismo reazionario sul tema “clandestini” “extracomunitari”, ha generato mostri ideologici. Il problema dell’integrazione, cioè di una cittadinanza progressiva per chi vive e lavora qui, per i figli degli immigrati, è infatti un altro passaggio chiave, decisivo, per costruire nuovi modelli di convivenza, per questo è necessario estendere i diritti e il voto.

Infine bisogna prendere atto che il radicalismo islamico è oggi un’ideologia politica a tutti gli effetti, figlia della disperazione sociale (12 milioni di sfollati in Siria, guerre in Africa, povertà dilagante in tutta l’area), ma con un profilo reazionario che usa la religione in modo evidentemente sempre più strumentale (s’ignora il Ramadan ecc.), una forma di totalitarismo che va combattuta. D’altro canto l’Islam nelle sue numerose sensibilità e varanti, è chiamato a un’opera di riforma di sé stesso importante, affermando una separazione sempre più netta fra politica, istituzioni e religione e riconoscendo, accanto al principio della comunità, dei diritti individuali, di ciò che dobbiamo chiamare cittadinanza anche dall’altra parte del Mediterraneo. In questo contesto il lavoro per il dialogo interculturale e interreligioso acquista sempre maggiore importanza così come diventa prioritario ripristinare un canale politico economico con Medio Oriente e Africa offrendo capacità negoziale, aiuti economici, sostegno nella lotta al terrorismo, ed esercitando il massimo delle pressioni diplomatiche – coinvolgendo quindi tutti gli attori con un’influenza significativa nella crisi – per cercare di costruire vie d’uscita all’implosione di nazioni e alle derive autoritarie.

E’ iniziato in modo drammatico il tempo del mondo multipolare, è ora che l’Europa riscopra sé stessa e metta in campo qualcosa di più delle speculazioni finanziarie. Allo stesso tempo, però, l’opinione pubblica ha il compito di impegnarsi su cammini nuovi uscendo dalla strettoia della contrapposizione di ieri fra realpolitk energetica e terzomondismo d’antan.  


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