Jason Rezaian e l’inizio di un processo “deciso a priori”

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Dopo circa 10 mesi di “ingiustificata” reclusione, il caso Rezaian è approdato sul tavolo della Corte Rivoluzionaria di Tehran. È trascorso poco meno di una settimana dall’inizio del processo a porte chiuse che decreterà le sorti di Jason Rezaian, corrispondente in Iran per il Washington Post. Le  accuse di spionaggio, collaborazione con governi ostili e propaganda contro il sistema dovranno superare il vaglio di Abolghassem Salavati, magistrato le cui sentenze particolarmente dure gli sono valse un posto nella “black list for Human Rights abuses” nel 2011. Come biglietto da visita, Salavati ha già posto il veto alle numerose richieste provenienti dall’estero per poter assistere al processo.

Carol Morello, giornalista del Washington post, ha espresso tutte le proprie perplessità in merito alla trasparenza di giudizio della Corte iraniana in un articolo intitolo “Verdicts often set before trials take place in Iran’s revolutionary courts”. Il pezzo delinea le iniquità della Corte Rivoluzionaria, etichettata come “un potente strumento utilizzato dai conservatori per scoraggiare ogni tendenza riformista”.

La difesa di Rezaian sarà assunta da Me Leila Ahsan anche se, come dichiarato da Rod Sanjabi (executive director of the Iran Human Rights Documentation Center), “Nessuno pensa che l’esito finale possa essere in discussione”. Come sottolineato da Morello, infatti, la maggior parte di queste sentenze a sfondo politico sono già decise a priori.

In tal senso, onde scongiurare un verdetto altresì scontato, molti giornali parlano di una strategia parallela condotta dalle istituzioni iraniane per negoziare alcuni punti dei futuri accordi sul nucleare con U.S.A. Jason Rezain è infatti soltanto l’ultimo di un trittico di cittadini americani (Amir Hekmati e Saeed Abedini, gli altri due) per i quali la Casa Bianca ha più volte richiesto la liberazione. Tali voci sono state tuttavia confutate da Josh Earnest, attuale press secretary del governo Obama, il quale ha dichiarato che “i cittadini americani non sono pedine di scambio e devono essere rilasciati in quanto detenuti ingiustamente”.

Dopo le prime due ore di processo, Abolghassem Salavati ha rinviato la seconda udienza a data da destinarsi.  Nei prossimi giorni Stati Uniti e Iran avranno modo e tempo di sedersi allo stesso tavolo in diverse occasioni: le risoluzioni degli accordi sul nucleare e il caso Rezaian continueranno ad essere “questioni separate”, anche se, per il consolidamento di un rapporto amichevole, sarà necessario trovare una soluzione in grado di limitare qualsiasi tensione internazionale.


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