I tristi giorni della non Europa

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No, per favore, non chiamatela Europa: quella che stiamo vedendo all’opera non è la nostra Europa, quella sognata da De Gasperi e Spinelli, rafforzata da Kohl e Mitterrand e condotta nel Terzo Millennio da Prodi e Delors; quella che stiamo subendo da anni è la stupida miopia di un’orda di liberisti selvaggi, di guerrafondai senz’arte né parte, di ciarlatani che, evidentemente, non hanno ancora imparato la lezione della storia e stanno ripetendo, uno dopo l’altro, i drammatici errori che condussero il Vecchio Continente nel baratro dei due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento.

Non a caso, l’unico esponente politico dotato di un pensiero della crisi e della cultura sufficiente per analizzarne cause e conseguenze, opportunità e drammi, ossia papa Francesco, parla da tempo di Terza guerra mondiale differita, fra i silenzi imbarazzati di molti politicanti e le crescenti preoccupazioni di quell’esigua fetta della classe dirigente mondiale che ha capito perfettamente cosa intenda dire.

Per chi non l’avesse ancora compreso, il Pontefice pone l’accento sull’intrecciarsi di due tipi di guerre: una antichissima, riservata agli ultimi della Terra, condannati in quanto poveri e in quanto ex colonie, respinti alle nostre frontiere, sfruttati alla stregua di schiavi, umiliati, torturati e poi compianti con il giusto grado di ipocrisia quando hanno la balzana idea di affondare a bordo dei gusci di noce con cui tentano di sfuggire alla morte certa nei loro paesi; l’altra moderna, riservata ai futuri ultimi, ai futuri sudditi, ai futuri schiavi, ossia a tutti noi europei, che, per dirla con Primo Levi, siamo “sicuri nelle nostre case” e ci crediamo al riparo dalla barbarie, salvo poi renderci conto, e pare che cominci ad accorgersene persino la cancelliera Merkel, che se crolla Atene, viene giù l’intero castello di carte dell’Europa.

Perché questo è l’Europa, smettiamola di raccontarci favole: un castello di carte disposte alla rinfusa, senza un progetto, senza una visione, senza un orizzonte né alcuna idea condivisa di futuro; un’unione monetaria e finanziaria e nulla più, con i popoli sempre più in sofferenza per i quali nessuno ha alzato un dito mentre le banche venivano salvate con centinaia di miliardi, mentre le multinazionali erano messe in condizioni di spadroneggiare ovunque, mentre in alcuni paesi fondamentali, fra cui il nostro, veniva di fatto sospesa la democrazia per affidarsi a una tecnocrazia di cui solo ora iniziamo a comprendere la dannosità.

Non si vota più o, se si vota, si finisce sempre col dar vita a governi di larghe intese che non servono a garantire la stabilità ma a favorire la perpetuazione degli interessi di pochi a scapito della collettività; e se un esecutivo di larghe intese si sforza di assumere anche qualche decisione nell’interesse del proprio popolo, dopo un po’, guarda caso, viene prontamente sostituito, magari perché ha avuto la dignità e l’intelligenza di rifiutarsi di distruggere la Costituzione o magari perché chi lo guidava, pur essendo un moderato e un convinto europeista, era un galantuomo, contrario alla confusione perenne fra destra e sinistra e per nulla incline a manomettere i capisaldi della convivenza civile, a cominciare dal rispetto sacro per le istituzioni.

Se poi qualcuno osa eleggere un uomo di sinistra che non si piega alla logica barbara delle larghe intese a tutti i costi, allora quel qualcuno, politicamente parlando, deve morire: e giù con richieste insostenibili, ricatti, un isolamento internazionale che mira a renderlo inviso al proprio popolo, avvertimenti e minacce di catastrofi imminenti che non servono a rinsaldare l’Europa ma a scongiurare che altri popoli decidano di spezzare queste catene e di riappropriarsi della propria sovranità. In poche parole, questo trattamento riservato ai greci serve da monito: non osate alzare la testa, non osate mettere in discussione i dogmi del liberismo sfrenato, non osate rivendicare le ragioni stesse per cui fu concepito il sogno dell’Europa unita, non osate pensare di poter vivere in pace col resto del mondo; in poche parole, non osate neanche solo immaginare di poter tornare ad essere cittadini europei perché non ve lo consentiremo.

Per questo, i signori che si riuniscono costantemente a Bruxelles non hanno il diritto di chiamarla Europa né, tanto meno, di definirsi europeisti: loro sono i veri nemici dell’Europa, coloro che ne hanno minato le fondamenta e svuotato dall’interno i valori, i responsabili della nostra subalternità in campo economico e della nostra irrilevanza in ambito geo-politico e geo-strategico; sono loro che stanno spingendo Tsipras a guardare a est, dopo aver imposto assurde sanzioni alla Russia che ci stanno costando milioni di posti di lavoro e perdite irreparabili, come se non bastasse questa maledetta crisi che si protrae ormai da sette anni a metterci in ginocchio.

E sbaglia, spiace dirlo, sbaglia di grosso chi ancora si illude che le cose possano migliorare in futuro: da questo baratro, con questa classe dirigente, non ne usciremo mai, per il semplice motivo che molti di loro rispondono agli interessi privati di quell’un per cento denunciato nel 2011 dai ragazzi di Occupy Wall Street che con la crisi si è arricchita a dismisura a scapito del restante novantanove per cento della popolazione e che, quindi, non ha alcun interesse a porvi rimedio.

Così come sbaglia chi ancora si illude che abbia senso parlare di socialismo europeo e socialdemocrazia: concetti nobili e storicamente importantissimi, espressione di una cultura politica che per tanti anni è stata anche la mia, ma che oggi non hanno più alcun senso né ragione di esistere, essendo i suoi esponenti i principali alleati della parte che dovrebbe essere avversa e, invece, quasi ovunque, è sodale, nella strenua difesa di un sistema capitalista che ormai mostra la corda e sta inducendo persino gli Stati Uniti a rivedere le proprie posizioni.

Anche oltreoceano, infatti, i democratici si stanno accorgendo che la Terza via clintoniana ha avuto come unica conseguenza quella di consegnare il Paese nelle mani di Bush e delle lobby delle armi e del petrolio; e la prima a farsi portavoce di questo pensiero è stata, incredibilmente, la moglie del presidente di allora, quella Hillary Clinton che ha capito benissimo che non può pensare di vincere nel 2016 riproponendo le ricette fallimentari e fallite del ’92 e del ’96.

Peccato che in Europa le posizioni più retrive e fuori dal mondo siano appannaggio non della destra, che pure con i Cameron, le Merkel e i Rajoy ci ha messo del suo, ma della finta sinistra che agisce sull’asse italo-francese, attuando a cuor leggero ricette palesemente sbagliate e socialmente insostenibili, i cui unici risultati sono la svalutazione del lavoro e lo sfarinamento del tessuto civile, con milioni di persone ormai in bilico o, peggio ancora, costrette a vivere sotto la soglia di povertà.

No, questa non è l’Europa e chiamare questo ricettacolo di mezze figure con un nome tanto nobile non è giusto né storicamente accettabile. Questo è il continente degli ipocriti che sono tutti “Charlie” per qualche giorno, salvo poi non far nulla per tutelare la libertà d’informazione; è il continente che si commuove di fronte alle bare schierate a Lampedusa ma poi non sostiene un Mare Nostrum europeo; è il continente che non batte ciglio di fronte alla malvagità nazistoide dell’impresentabile Orbán, con i suoi muri e le sue chiusure vergognose; è il continente che non dice una parola di solidarietà alla Tunisia, sconvolta dagli attentati della jihad islamica, e il cui sguardo non si spinge fino al Kuwait o agli altri paesi del Golfo; infine, è il continente della linea Maginot sulla frontiera di Ventimiglia, dove ad essere respinti non sono però i nazisti ma dei poveri cristi in fuga dalla disperazione e dalla fame.

Questa è oggi la non Europa e, se ci pensate, la logica dell’ISIS in Tunisia, il principio in base al quale l’unica primavera araba riuscita deve essere soffocata nel sangue e nella distruzione, sembra essersi spostata anche da noi, dove l’unica primavera mediterranea deve essere annegata nella miseria e nell’umiliazione definitiva e senza ritorno affinché nessun altro si azzardi ad imitarla.


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