Cari cattolici, non rifiutatevi di salvarci

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C’erano una volta i valori non negoziabili. Con papa Francesco tutti i valori sono diventati non negoziabili. Dalla difesa della vita del nascituro a quella dei giovani disoccupati, dalla difesa della vita del moribondo a quella dei migranti, o dei lavoratori che muoiono sul posto di lavoro, a quella di chi viene lasciato morire di fame dallo sfruttamento iniquo delle risorse. In questo modo diritto della vita del nascituro e rifiuto dell’eutanasia diventano sfide per tutti coloro che hanno abbracciato la cultura moderna dell’ “io sovrano” ma si sentono interpellati dall’umanesimo integrale di papa Francesco.
Questo umanesimo integrale non volta le spalle a nessuno, a cominciare dagli omosessuali, ai quali il papa ha guardato con rispetto: “chi sono io per giudicare?”

Ma il dovuto rispetto, rispetto dell’amore che si manifesta come vuole, non può portare alla creazione artificiale di diritti che non sono tali, come quello alla surrogazione. Ma ci sono altri diritti che reclamano di essere visti, e per me capiti, come prioritari: il diritto a muoversi, a vivere in pace nel mio paese o, lì dove sia impossibile, ad andare altrove, il diritto a essere riconosciuto come essere umano e quindi arabo, africano, povero, e così via. Ora accade che una terribile saldatura di due crisi senza precedenti, quella mediorientale e quella europea, stia cancellando il concetto di Stato in un’area cruciale del mondo, quella che va da Baghdad (e forse più in là) fino a Lisbona, passando per l’Africa centro-settentrionale. E se muore lo Stato muore la cittadinanza. E quando non saremo più cittadini cosa saremo? Ecco il tornado, sanguinoso a est, monetarista e localista a Ovest. Questo uragano che rischia di riportarci alla dimensione di entità tribali, o etniciste, sta diventando una tzunami. Tanto che non possiamo esitare a dire che aveva capito tutto Martin L. King quando disse “o impareremo a vivere insieme come fratelli o periremo tutti come degli stolti”.

Indubitabilmente l’uomo contemporaneo del Mediterraneo allargato, quello che va dalla Nigeria alla Iraq a Lisbona, sente quest’uragano arrivare e naturalmente si sente portato a salvarsi mettendo le assi di legno davanti alle finestre. Chiudersi, arroccarsi, questa appare la sola soluzione. In questo modo sta saltando, sta finendo, la millenaria civiltà del vivere insieme.

Dobbiamo riconoscere che esiste una sola entità che può salvarci. Davanti all’eclissi della politica e del cosiddetto “fronte progressista”, solo la Chiesa cattolica può. Dico la Chiesa cattolica perché le altri confessioni universali e le altre Chiese sono divise frastagliate, locali. Vista la centralità in questo contesto dell’esplosione del cosiddetto “Oriente”, faccio un esempio “orientale”. Le chiese ortodosse, sulla cui ricca spiritualità nessuno può eccepire, hanno un problema “nazionale” evidente. Ha scritto Philp Mansell al riguarda dei tempi lontani degli imperi: ” Nel Diciassettesimo secolo i Patriarchi Ecumenici, riflettendo certamente i desideri dei loro fedeli, mandarono ripetutamente lettere segrete allo Zar di Mosca , invocando l’invasione e la liberazione.”
In tempi più recenti, quando a Mosca il nuovo Zar era comunista, questo amore per Mosca si è tradotto in un piccolo villaggio libanese nell’adesione convinta al comunismo da parte delle due famiglie ortodosse locali. Ma le due famiglie avevano una loro tanto usuale quanto atavica rivalità, e così una di esse si fece maoista. Nacque così il primo gruppo filo-partito comunista cinese nel Levante.

No, lo spirito nazionalista e l’alleanza Chiesa-Nazione propugnata dall’ortodossia russa limita la forza ortodossa come possibile volano in difesa del “vivere insieme”. Il mito della Terza Roma e il sogno imperiale russo-ortodosso, “Protettore dei cristiani orientali”, è un problema che si aggrava nell’epoca del neo espansionismo totalitario di Putin.

Ecco che, sebbene qualche patriarca orientale abbia ceduto all’idea della protezione e si direbbe al filetismo (condannato da due concili ortodossi), cioè alla formazione di autocefalie, prendendo come base della giurisdizione ecclesiastica la nazionalità, come potrebbero indicare le numerose visite a Mosca di autorevoli esponenti del cattolicesimo mediorientale, la Chiesa cattolica avrebbe le carte in regola per rintuzzare la sempre più diffusa tendenza alla chiusura localista, etnicista, (da noi xenofoba) che davanti al tornado innescato dagli errori marchiani della politica e della tecno finanza ci sta riportando a un’infinità di Guerre Sante, con il rischio che torni come criterio salvifico quello di Vestfalia, “cuius regio, eius religio””: chi regna impone ai sudditi la sua fede.

Per scongiurare questa deriva che ha diffuso nei mondi islamici sunnita e sciita – vittime di altrui e propri orrori secolari- la cultura jihadista, non resta che la chiamata a una Santa Alleanza, contro tutte le Guerre Sante, comprese quelle nostrane (non ancora insanguinate o grondanti sangue per fortuna- sebbene ….). Per il vivere insieme.

In questo la predicazione di papa Francesco mi sembra davvero profetica, la sola capace di attualizzare e rilanciare il monito di Martin L. King davanti alla crisi degli Stati e alla tentazione degli opposti estremismi che con una sorta di politica delle “convergenze parallele” pensano di salvarci tornando all’etnicismo, all’identitarismo. Solo imparando a vivere insieme potremo uscirne, da liberi.
Ma la predicazione di papa Francesco non riesce ancora a trasformarsi in iniziativa solida, mobilitante in particolare le Chiese orientali e quell’associazionismo cattolico nostrano che pure è tra i pochi impegnati davvero sul fronte del vivere insieme, in tante forme.
Per un retaggio del passato, o forse per una non consapevolezza che la casa sta bruciando davvero, si capisce l’urgenza di mobilitarsi in difesa del proprio pavimento, e non delle fondamenta del palazzo dove abitiamo tutti.

Per farlo occorre trovare il coraggio di ripartire dall’inizio, cioè dalla valutazione della Primavera araba, magari alla luce di quanto dice papa Francesco al punto 74 della sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium: ” In molte parti del mondo, le città sono scenari di proteste di massa dove migliaia di abitanti reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza.”

Se l’associazionismo cattolico fosse capace di muoversi e mobilitarsi per difendere la cultura del vivere insieme, non solo sarebbe all’altezza della grande sfida dal papa, non solo aiuterebbe i non credenti a confrontarsi con esso sui temi “etici”, ma risponderebbe alla sfida drammatica posta da questi nostri tempi.


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