Scandalo “pocket money”: cos’è e come funziona la diaria per i migranti

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Da un euro a due euro e mezzo: è questo il bonus giornaliero che viene dato direttamente agli stranieri nei centri di accoglienza, e per il quale è finita sotto accusa un’associazione campana. Di Capua: “E’ un diritto, serve anche a insegnare a gestire i soldi. Tutto deve essere sempre tracciabile”

 

ROMA – Un bonus giornaliero, una sorta di diaria data direttamente ai rifugiati e richiedenti asilo ospitati nelle strutture di accoglienza, per le piccole spese quotidiane. E’ il pocket money, finito in queste ore al centro dello scandalo, che vede coinvolta la onlus campana “Un’ala di riserva” di Giugliano. Secondo i pm, l’associazione lucrava sulle risorse da destinare ai migranti: intascando o dirigendo su conti personali sia parte dei 35 euro al giorno per la gestione dell’accoglienza, sia trattenendo i due euro giornalieri (in media) del pocket money. Ma come funziona il bonus? E in che modo andrebbero gestite queste risorse?

35 euro al giorno per vitto, alloggio e gestione dell’accoglienza. Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno. Un importo non definito per decreto, ma da una valutazione sui costi di gestione dei centri. Gli enti locali che decidono di partecipare al bando Sprar (Sistema di protezione e accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo), hanno l’obbligo infatti di presentare un piano finanziario che deve essere approvato dalla commissione formata da rappresentati di enti locali (comuni, province e regioni), del ministero dell’Interno e dell’Unhcr. I 35-40 euro, sono ormai una sorta di costo standard, che viene erogato anche per i centri di accoglienza non Sprar gestiti dalle prefetture. Questi soldi servono a coprire le spese per il vitto, l’alloggio, l’affitto e la pulizia dello stabile, ma anche a pagare lo stipendio alle persone che ci lavorano e, in qualche caso, ad avviare progetti di inserimento lavorativo per i migranti.

Che cos’è il pocket money? Il pocket money è l’unica parte dei 35 euro che viene erogata ai beneficiari direttamente, in mano. “A volte la cifra viene data in contanti, altre volte attraverso delle carte prepagate ricaricabili e spedibili dappertutto. In ogni caso è un diritto del richiedente asilo – spiega Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale Sprar -. Per quanto riguarda l’importo, la cifra varia a seconda dei territori e dei progetti da un euro e mezzo a due euro e mezzo a persona al giorno”.

Perché viene erogato il pocket money? Questa piccola quota giornaliera serve ai richiedenti asilo per le piccole spese quotidiane. Innanzitutto per potersi comperare una scheda telefonica con cui chiamare i familiari, che molto spesso sono rimasti a casa e aggiornarli sulle proprie condizioni di salute. Ma anche per comprarsi un pasto o le sigarette. “La cifra, anche se minima, serve anche a insegnare ai beneficiari a gestire soldi,– continua Di Capua – quando arrivano non hanno nessuna dimestichezza con l’euro. Dopo 15 giorni hanno circa venti-trenta euro in tasca, e possono scegliere cosa comprare”.

Da dove derivano i fondi per i rifugiati e come vengono gestiti? “I soldi per l’accoglienza sono fondi italiani, ordinari e di competenza del ministero dell’Interno che ha la responsabilità della gestione dei flussi migratori, quindi anche dell’accoglienza dei richiedenti asilo – aggiunge Di Capua – L’accoglienza è, infatti, un obbligo per il nostro Stato come per tutti gli Stati che riconoscono il diritto d’asilo”. I fondi vengono assegnati direttamente ai soggetti titolari del progetto di accoglienza. Per quanto riguarda lo Sprar si tratta di Comuni o altri enti locali, mai direttamente di associazioni. Ma l’ente locale, può comunque fare un bando per assegnare la gestione a un’associazione o una cooperativa. Solo le prefetture, per la gestione di strutture temporanee, possono fare convenzioni dirette con cooperative, associazioni o privati.“Nel caso dello Sprar l’assegnazione diretta non è possibile – spiega ancora Di Capua -. Il nostro è un bando triennale del ministero dell’Interno a cui si partecipa su base volontaria. A fare richiesta sono gli enti locali. La domanda viene presentata sulla base di parametri abbastanza stringenti, previsti dal decreto. All’interno c’è anche un piano finanziario. Viene poi assegnato un punteggio e stilata una graduatoria”. Una volta risultati idonei i progetti vengono finanziati. “Ogni progetto ha un budget: è il finanziamento complessivo che il ministero gli assegna e che materialmente accredita in varie tranche al responsabile, che è appunto un comune o un altro ente, mai una persona fisica – continua la direttrice dello Sprar -. Nella stragrande maggioranza dei casi, poi, l’ente locale fa un avviso pubblico o un tavolo di coprogettazione e individua un soggetto gestore, che può essere un’associazione o una cooperativa in grado di occuparsi dell’ accoglienza. Con essa si stipula una convenzione, che regola i termini con cui il comune, o altro ente, trasferisce i fondi. Noi come servizio centrale abbiamo l’obbligo poi di controllare la rendicontazione. Tutto deve essere sempre tracciabile”. (ec)

Da redattoresociale.it


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