Le prodezze dell’Isis e il nostro calcio

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Viene in qualche modo spontaneo, se non un confronto, almeno il riferimento  all’abisso di mondi distanti e incomunicabili tra la crisi italiana e  quello che sta succedendo in Asia tra la Siria e l’Iraq dove i combattimenti si succedono tra la coalizione che fa capo al secondo califfato di Mosul e che si ispira allo stato islamico che va sotto il nome di ISIS e quella euro-americana che include anche gli sciiti mussulmani (contro i sunniti che stanno con l’ISIS)e che resiste all’avanzata dei fanatici islamisti.  Dicevo che mentre i combattimenti sono giunti a una nuova tappa di cui vogliamo parlare, in Italia è scoppiato l’ennesimo scandalo sulle scommesse del calcio che ha come protagonisti sempre i medesimi: la lega Calcio Serie A, Sky di Mr Murdoch e Mediaset di Silvio Berlusconi. A dimostrazione del fatto che, intorno allo strumento televisivo, mezzo di comunicazione egemone tra quelli che esistono, si radunano interessi di molti milioni o meglio miliardi di euro e ci sono persone addette che passano giorni e notti a stabilire come le imprese relative possono spartirsi il denaro e le partite che gli italiani vedono con tanto divertimento nelle loro abitazioni.

Tutto qui, nulla di ideologico o di drammatico ma gli ideali di una piccola e grande borghesia al comando in un Paese che è uscito dalla miseria e ha scelto il calcio giocato come il massimo dei suoi divertimenti sociali. Ora mentre in Italia si ha sempre più scarsa speranza che gli scandali si arrestino e che i colpevoli dell’ennesima truffa perpetrata dai vincitori della combine, in Iraq oltre cinquecento persone sono morte tra civili e combattenti nella battaglia per la conquista della città di Ramadi. Il capoluogo della grande provincia di al-Anbar nell’Iraq occidentale è stato conquistato ieri dai jiadisti dopo due giorni di combattimento per le strade.

Un portavoce dell’amministrazione provinciale riferisce la sconfitta aggiungendo che “circa ottomila persone sono fuggite dalla città mentre l’ISIS rivendicava la conquista affermando di aver ucciso “decine di apostati” cioè di seguaci della confessione sciita. Gli sfollati in fuga si aggiungono all’esodo che era già avvenuto nell’aprile scorso quando secondo le Nazioni Unite almeno 114 mila iracheni avevano lasciato Ramadi e i villaggi circostanti per l’avanzata degli jiadisti.

Secondo l’emittente Al Arabya , Ramadi è caduta dopo che l’esercito di Baghdad si è ritirato dalla città. Appena presa Ramadi, i jiadisti hanno liberato decine di islamisti terroristi che erano chiusi nel carcere militare della città. Le bandiere nere del secondo califfato sono state issate sui tetti di numerosi palazzi della città. La situazione in Iraq sta diventando molto preoccupante perché la caduta di Ramadi apre in qualche modo la strada all’offensiva jiadi sta verso la capitale Baghdad che dista appena un centinaio di chilometri.

Gli Stati Uniti sembrano, sia pure con prudenza, ottimisti sull’andamento del conflitto nelle prossime settimane ma con i dati a disposizione è difficile prevedere che cosa succederà prossimamente. Si sa per certo che su Ramadi stanno convergendo convergendo contingenti di milizie sciite (almeno tre mila uomini delle Unità di mobilitazione) pronti a entrare in combattimento per aiutare le forze di sicurezza irachene a riconquistare la città.

La caduta di Ramadi rappresenta la peggiore di quelle accadute nelle ultime settimane ma è evidente che l’ISIS sta giocando la partita decisiva per il suo futuro e ha bisogno anche sul piano comunicativo di mostrare la sua capacità di conquista nel territorio che si è scelta in quella parte del mondo. Mai come oggi funziona il network religione-politica in questo drammatico scontro tra fanatismo e ragione. O almeno tra due diverse concezioni del mondo.


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