Abou, il ragazzino rannicchiato nell’oscurità

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I muri che dividono creano i viaggi della povertà più estrema. E così un bambino di otto anni è stato ritrovato nascosto in una valigia mentre tentava di entrare nella città autonoma di Ceuta, avamposto spagnolo in terra d’Africa, dai funzionari dell’immigrazione durante i controlli nei macchinari a raggi X della frontiera.

Abou, questo il nome del bambino, secondo i giornali spagnoli arrivava probabilmente dalla Costa d’Avorio, era nel trolley di una ragazza marocchina diciannovenne, pagata dal padre del fanciullo per introdurlo in territorio iberico attraverso la porta d’Europa.

L’immagine di un ragazzino rannicchiato nell’oscurità è quella di un corpo umiliato da un mondo che si rifiuta di guardare la miseria indicibile che spinge un uomo a cercare in tutti i modi, anche rischiandone la vita, di dare un futuro al proprio figlio.

Quella miseria che offende, oscura, sporca di disperazione la bellezza del nostro vivere quotidiano al di sopra della sofferenza, quella miseria che ogni giorno l’Europa sceglie di nascondere. Quella miseria che non prevede carità. Quella miseria il cui volto oggi vive nei lineamenti di Abou, privo di aria per respirare, di cibo da mangiare o di acqua da bere ma illuminato da un sogno di vita che è impossibile ignorare.


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