La teologia del muro

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In mezzo al mar Mediterraneo c’era un gommone, come tanti altri. Il suo carico non poteva che essere di disperati, fuggiaschi, giunti fino alle sponde del Mare Nostrum da Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio. A bordo è successo qualcosa. Alcuni sono stati gettati in mare. Al di là della loro fede, appartenenza etnica, tribale, età, il primo pensiero non può che essere per loro. Arrivati a Palermo alcuni sopravvissuti hanno denunciato: c’è stata una lite, “pregate Allah, non Gesù”! Poi l’atroce “defenestrazione”.

Cosa sarà successo? Qualcuno cercava più spazio? Un gruppo, magari etnico, cercava una posizione migliore rispetto ad altri? Tentava di impossessarsi di una gomena? O forse di una coperta? O forse si è pensato che alleggerendosi il gommone avrebbe avuto una navigazione più facile? Sono tutte ipotesi non incompatibili con il racconto dei sopravvissuti. Ma è l’idea che un gruppo di disgraziati, in senso letterale, abbia invece inteso uccidere i cristiani per odio religioso quella che ha convinto di più. Perché?

Certo, ci sono i racconti, terribili, dei sopravissuti. Si può non credergli? Premesso che il crimine è comunque crimine e va condannato comunque, bisogna capire quale crimine. Se fosse stato ispirato solo da odio religioso la differenza sarebbe enorme.

E qui, comunque si sia svolta la tragedia, entrano i ballo altri racconti. Quali racconti? Che i musulmani ci odiano tutti? Che i “cristiani” colonizzano, odiano, derubano? Quanti sono, ovunque, i cantori dell’odio…

Mentre a bordo si dipanava un crimine comunque orrendo nelle nostre case entrava la teologia del muro. Quei profughi in fuga, cristiani, gettati in mare, non erano anche loro parte di quel muro di profughi che non devono entrare in Europa? Non erano anche loro parte della marea che ci inquieta, ci terrorizza? Se fossero arrivati sani e salvi come li avremmo accolti? Come fratelli? Qualcuno ha detto, “ragazzi, le migrazioni vanno affrontate tutti assieme”? Qualcuno ha aggiunto, “ma dalla Siria non ci sono migrazioni, bensì un piano di pulizia etnica che non può essere tollerato”?

C’è un racconto di guerre di religione che non riguarda solo noi, riguarda anche gli altri. Come verranno presentati i soldati, o i droni, o le bombe (anche se la religione con loro non c’entra)? Chi, di questi conflitti tra pipeline del domani e pozzi dell’oggi, parla degli interessi economici, degli obiettivi imperiali, dei calcoli petroliferi che stanno dietro alle guerre?

La rappresentazione estrema dei conflitti, il porre al centro le religioni e non gli interessi di cosche che se ne impossessano rischia di portarci tutti in fondo al mare insieme a quelle povere vittime buttate a mare da altre vittime per l’occasione fattesi carnefici.


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