Ha chiesto la fiducia

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Nei fatti, almeno. Dire “o passa l’Italicum, o cade il Governo”, come ha fatto Renzi intervistato da Lilli Gruber per La7, sostanzialmente significa porre una questione di fiducia sul suo Esecutivo. Al Pd spiega, con la sottigliezza di ragionamento che ne contraddistingue l’ardire, “se non mi votate quello che vi chiedo, si va tutti a casa”. Insomma, secondo lui, o la legge elettorale viene approvata così com’è, o si andrà alle elezioni, e quei deputati che vogliono perdere tempo con un nuovo passaggio parlamentare, perderanno “la poltrona”, come ebbe a dire ai senatori che eccepivano sulla trasformazione del Senato in un dopolavoro per consiglieri regionali.

Ora, a parte che è tutto da vedere se la minaccia di Renzi sia attuabile, in quanto potrebbe cadere il Governo, come è caduto quello di Letta, e trovarsi altri numeri per farne un altro, sostenuto dagli stessi che oggi sostengono il segretario del Pd con lealtà, la medesima con cui prima sostenevano il suo predecessore, nei fatti le sue parole aprono uno scenario diverso nella democrazia pratica del nostro Paese. Essa, infatti, è sempre meno “parlamentare” e sempre più “governistica”, in cui chi detiene il potere esecutivo ha il dominio assoluto della scena politica, e quanti rappresentano il potere legislativo (e chissà fino a quando i titolari del giudiziario si sottrarranno a una simile mutazione materiale dello stato delle cose) non possono far altro che votare quello che i governanti chiedono.

Certo, c’è sempre la libertà del singolo parlamentare, formalmente (ancora) riconosciuta, di votare come vuole, ma gli indizi di una forte limitazione fattuale di questa indipendenza, di cui la sostituzione in blocco dei dissidenti nella Commissione affari costituzionali della Camera, per quanto legittima in punta di regolamenti, ne è un limpidissimo esempio, sono sempre maggiori, e sinceramente anche preoccupanti.

La questione così posta dal presidente del Consiglio, però, presenta pure un tema politico non facilmente eludibile, e con un aspetto temporalmente duplice, da un lato, incentrato sul presente, dall’altro, proiettato nel futuro. L’argomento è: che faranno quelli che a questo provvedimento si oppongono? Lo voteranno, venendo meno ai loro propositi? O lo respingeranno, passando in quel caso all’opposizione del Governo tout court, dato che esso di tale materia ha fatto la sua ragione di vita politica e istituzionale?

Questo per quanto riguarda l’oggi. E domani? Cioè, mi chiedo, se dovesse finire l’esperienza Renzi e magari l’intera legislatura, che faranno alle prossime elezioni? Voteranno e sosterranno (candidandosi o meno, in questa fase del ragionamento, è un dettaglio) il partito di cui egli è segretario, magari aiutandolo a diventare di nuovo capo di un governo, per poi fingersi stupiti che Renzi sia Renzi?

Perché guardate che quello è. È lui che vuole l’Italicum, lui che vuole il Jobs Act, lui che vuole tutto quello che buona parte del partito gli sta contestando, nel mentre vota a favore, dallo Sblocca Italia alla Buona Scuola, dal Piano Casa alla fine di Mare Nostrum: così è (se vi pare).

PS: ieri, dialogando con su Facebook con chi commentava negativamente il fatto che avessi provocatoriamente usato le parole di Renzi (#cenefaremounaragione) parlando del suo “avvertimento” sul rapporto di dipendenza fra Governo e legge elettorale, mi è stato fatto osservare che, non votando per lui, si favorirebbero i vari Salvini e Grillo. Che è un argomento, per carità, solo che ce ne sarebbe pure un altro. Se, per non favorire Salvini e Grillo, servono anche i voti quelli che la pensano come me, allora forse è meglio non cercare in tutti i modi di prenderli a pallonate sui temi e disegnarli come il problema da superare per vincere le elezioni, per poi fare il contrario di quello che chiedono, condannandoli a dover assistere alla sconfitta delle proprie idee perpetuata con i loro voti. Perché il rischio, altrimenti, e che essi, accusati d’essere l’intoppo, semplicemente tolgano il disturbo. E non perché siano permalosi; semplicemente per non dar fastidio nel selfie-opportunity.


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