Gli italiani non amano l’Italicum

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Gli italiani non amano l’Italicum se il sondaggio di cui parla Nando Pagnoncelli su la Repubblica del 26 aprile riferisce che “la maggioranza degli intervistati si dichiara contraria ai capilista e vuole le preferenze. “Nell’arco di un anno-riferisce sempre il sondaggista nell’articolo del quotidiano di Ezio Mauro-le posizioni sull’Italicum si sono rovesciate :se a marzo dello stesso anno all’indomani dell’insediamento del governo Renzi prevalevano nettamente i giudizi positivi (58% i favore
voli e 30% i contrari),nel dicembre scorso hanno preso il sopravvento i contrari (il 45% contro il 32% positivi) e nel sondaggio di oggi(che si basa su 996 interviste compiute il 21 e il 22 aprile scorso) si osserva un ulteriore aumento dei giudizi negativi che raggiungono il 51 % contro il 34% dei positivi).

I favorevoli-e questo non solo a me sembra un autentico paradosso a cui il presidente del Consiglio dovrà prima o poi dare una risposta-prevalgono solo tra gli elettori abituali del Partito democratico, gli elettori del centro-inclusi quelli dell’aggregazione del nuovo centro destra-sono molto divisi tra loro e tra gli altri prevale il dissenso che tocca il livello più elevato con i seguaci del movimento M5S che fa capo a Beppe Grillo. Sui principali punti della riforma, riguardo al premio di maggioranza, i favorevoli rappresentano il 44% per cento e i contrari il 47%;la possibilità di esprimere la preferenza escludendo i capilista bloccati nei 100 collegi incontra il favore del 44% degli italiani e la contrarietà del 47%.

Il provvedimento più inviso è sicuramente quello della presenza del capolista bloccato e registra il 61% dei contrari e soltanto il 26 % dei favorevoli.
Quasi due italiani su tre (61%) plaudono alla riduzione dei senatori e alla fine del bicameralismo perfetto previsto dalla Costituzione del 1948 ma vorrebbero che, come mi è accaduto di scrivere più volte nelle ultime settimane, il Senato continuasse ad essere eletto dai cittadini.
Secondo Pagnocelli, ma non è l’unico a pensarla così perché basta vivere in Italia, frequentare locali e mezzi di trasporto pubblici per pensarla allo stesso modo, la sfiducia nella capacità dei partiti politici di rappresen
tare la volontà degli elettori condiziona le aspettative degli elettori i quali esprimono tre indicazioni: innan
zitutto richiedono la possibilità di scegliere direttamente, che si tratti degli eletti al parlamento o dell’elezione del presidente del Consiglio o del presidente della Repubblica.

La forte richiesta di un voto di preferenza è un effetto del discredito della politica e del processo di di disintermediazione molto diffuso nel Paese. Sono lontani i tempi del referendum dell’inizio degli anni Novanta nei quali ci fu un vero e proprio plebiscito contro il voto di preferenza. E neppure gli scandali degli ultimi anni che hanno visto coinvolti consiglieri regionali eletti con voto di preferenza sembrano attenuare questa tendenza. Gli elettori auspicano la semplificazione del quadro politico e la riduzione del numero dei partiti. Infine reclamano dai partiti la governabilità che viene associata alla stabilità dell’esecutivo, alla rapidità e all’efficienza dell’azione di governo, alla modernizzazione del paese. In altre parole al cambiamento anche se questo, come è ovvio, non potrebbe non provocare nuove contraddizioni, come sempre avviene. Ora non è il caso di fondare sul sondaggio Ipsos esposto sul quotidiano romano le obiezioni alla legge elettorale che sono state già esposte più volte in queste settimane e che anche oggi personalità come quelle di Pier Luigi Bersani, ex segretario del P.D. e di Rosy Bindi, attuale presidente della commissione parlamentare sulla mafia, hanno ritenuto di dover esporre le proprie sulla carta stampata per evitare che si pensasse che nel Partito democratico fossero tutti allineati sulla linea del segretario-presidente.
Ma vale la pena ribadire che il complesso delle leggi in discussione-e anzitutto quella elettorale e quella costituzionale sul Senato-rischiano di sostituire all’attuale carta costituzionale che parte dalla centralità del parlamento e intorno ad essa costruisce tutto l’edificio una casa che punta al massimo del personalismo, che fa del presidente del Consiglio una sorta di capo naturale e ricco di potere, delle Camere organismi di scarsa capacità legislativa e del Senato una seconda camera con scarso potere e abbondanza di “nominati” dall’alto.
Non mi sembra ,francamente, un risultato molto positivo.


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