Stragi, un puzzle complicato e ancora lontano dall’essere chiaro ed esauriente.

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Ricordo sempre, quando mi capita di scrivere articoli che parlano delle vicende che riguardano le nostre mafie (nostre, purtroppo, perché sono nate nel nostro Paese e qui sono prosperate, nella storia repubblicana con i governi di diverso colore che l’hanno percorsa in più di settant’anni di storia come, del resto, era avvenuto nel periodo liberale e in quello fascista)di ricordare l’ultima pagina del libro-intervista che Giovanni Falcone scrisse con la giornalista francese Marcelle Padovani nel 1991 e che disse anche a me nell’unico incontro che ebbi la fortuna di avere con lui in una delle periodiche visite  sempre fatte negli ultimi anni  all’Archivio Centrale dello Stato per le mie numerose ricerche sulla difficile storia del nostro amato (anche da me) ma anche disgraziato Paese.  Tra le tante ne ricordo poche ma importanti: “Credo  che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere  che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra demo crazia  ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi.”  Poche frasi ma pesanti rispetto all’interpretazione complessiva della vicenda repubblicana da cui non sono mai riuscito a distaccarmi.  E questo per non sotto valutare gli avvenimenti che ancora oggi riempiono le nostre cronache giornalistiche e influiscono fortemente sulle vite delle vittime e di quelle persone che si preoccupano istintivamente (e non perché hanno aspirazioni  politiche personali) di quel che succede nella nostra storia.
Ebbene, rispetto al periodo cruciale delle stragi del ’92-93 che hanno segnato la morte di Falcone e Borsellino ma anche di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Pier Santi Mattarella, il fratello maggiore  del nostro attuale presidente della repubblica, Sergio, la strage di via Palestro a Milano in cui morirono l’agente di polizia Alessandro Ferrari, i vigili del fuoco Carlo La Catena Sergio Pisotto e  Stefano Picerno ma anche l’immigrato marocchino Moussafir Driss. E fece crollare il Padiglione di Arte Contemporanea della Mostra della vicina Galleria di Arte Moderna, colpisce per le modalità dell’attacco che dopo i fatti di Palermo si sposta sul Continente e assale il patrimonio artistico nazionale. Ci sono voluti più di dieci anni e successive e molto lunghe  indagini con nuove confessioni di Gaspare Spatuzza per avvicinarsi via via a una versione attendibile di quello che era accaduto. Ed ora ha deposto sui fatti l’ex boss del quartiere Altofonte di Palermo, Francesco Di Carlo che rivela alcune interessanti novità sull’episodio.  Racconta Di Carlo che agenti dei servizi segreti italiani fecero visita in carcere al boss mafioso mentre era de tenuto in Inghilterra per il narcotraffico e gli chiesero se potevano avere un contatto a Palermo. Di Carlo, che di spone di buone entrature nei servizi segreti, ed è collaboratore di giustizia dal 1996, parla di strani incontri e di inquietanti richieste da parte dei  servizi segreti italiani. Lo fa come testimone nel processo di Milano contro Filippo Marcello Tutino che avrebbe rubato la Fiat Uno il 27 luglio 1993 davanti al Padiglione di Arte Contemporanea uccidendo le persone già indicate. Secondo Di Carlo, gli agenti comandati dal capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Il boss torna sulla stagione delle stragi nel ’92-93 e dice che allora l’associazione mafiosa era più equilibrata e che gli attentati a Falcone e a Borsellino vennero decisi da qualcuno che aveva l’obbiettivo di destabilizzare il sistema, mandare via Falcone da Palermo e contrastare il regime del ’41 bis. E del mafioso Antonino Gioè che partecipò alla strage di Capaci e si impiccò poco dopo in carcere, parla Paolo   Bellini che ricorda di aver incontrato il maresciallo dei carabinieri Tempesta e allora chiese di potermi infiltrare in Cosa Nostra  e, secondo lui, il via libera all’operazione arrivò da Mario Mori, imputato nel processo sulla trattativa tra mafia e Stato.  Siamo sempre di più davanti a tasselli che servono a ricomporre un puzzle complicato e ancora lontano dall’essere chiaro ed esauriente.


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