Il processo Mills e l’uomo di Arcore

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Se un uomo bene informato e a lungo vicino all’uomo di Arcore come Gaetano Pecorella, che è nello stesso tempo  parlamentare di Forza Italia ed ex avvocato dell’imprenditore-politico lombardo, parla di un notevole rischio di prendersi una condanna a sei anni di carcere, non c’è ragione di fare obiezioni.

Pecorella ha detto queste cose a Radio Radicale dopo che il presidente del  tribunale di Milano, Livia Pomodoro, ha deciso di rigettare l’istanza con la quale l’ex presidente del Consiglio ha chiesto di unificare il processo sui fondi neri relativi ai diritti televisivi di Mediaset con quello in cui Berlusconi risponde dell’accusa di corruzione  in atti giudiziari insieme all’avvocato inglese David Mills.

“Certamente-ha detto Pecorella- il segno è nella volontà berlusconiana di definire rapidamente il processo Mills, perché  escludendo la riunione dei procedimenti, il giudice potrà concluderlo più o meno in coincidenza con eventuali (ma per ora non alle viste) elezioni anticipate. L’accusa si basa su elementi documentali già acquisiti e su elementi emersi dopo, dai quali è risultato  che Mills, ha trovato una giustificazione per spiegare la presenza di “pagamenti professionali che non aveva dichiarato né al fisco né ai soci.”

L’inchiesta sostiene che Berlusconi nel 1997 fece inviare 600 mila euro all’avvocato Mills  come ricompensa per non aver rivelato in due processi, in qualità di testimone, le informazioni in suo possesso sulle società estere che la procura ritiene la “tesoreria occulta” del gruppo. Mills è descritto come l’ideatore della architettura delle società del comparto estero del gruppo Fininvest. Sia Berlusconi sia Mills  hanno respinto le accuse ma in un verbale di interrogatorio davanti ai pm milanesi il 18 luglio 2004, l’avvocato inglese disse che quel denaro gli era stato riconosciuto da Berlusconi attraverso il manager Fininvest Carlo Bernasconi.

Accanto a questa vicenda di cui si attendono gli imminenti sviluppi è emerso al processo di appello davanti alla Corte di Appello di Palermo  un documento di notevole interesse. Si tratta di un foglio manoscritto contenente richieste all’on. Berlusconi di mettere a disposizione una delle sue “reti televisive” con l’indicazione di una pena possibile in caso di rifiuto: “un luttuoso evento.” Il foglietto è stato sequestrato durante la perquisizione dei carabinieri nel febbraio 2005 nella casa del figlio più piccolo di Vito Ciancimino, quattro mesi prima del suo arresto. Non sarebbe una lettera scritta dal padre o dal figlio di Ciancimino ma, secondo l’Ansa, a scriverla “possa essere stato un uomo di fiducia di Totò Riina che lo avrebbe girato a Bernardo Provenzano e sua volta lo avrebbe fatto arrivare al suo amico fidato, Vito Ciancimino, il quale avrebbe avuto il compito di far giungere l’ambasciata a persone che sarebbero state vicine a Berlusconi”. Se ciò fosse vero, potremmo essere davanti all’indizio forte di un collegamento diretto tra Berlusconi e Cosa Nostra e da riscontro alle conclusioni del gip Giovan Battista Tona nel decreto di archiviazione nei confronti di  Berlusconi e Dell’Utri nell’inchiesta sulle stragi del 1992. E’ questo il campo  ancora aperto nelle indagini legate al processo di appello di Palermo che ci riporta ancora una volta al tema arduo ma non evitabile del rapporto tra mafia e istituzioni politiche repubblicane.


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