Disturbi alimentari: i mass media e la pubblicità producono modelli univoci, mai totalmente realistici

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I disturbi alimentari psicogeni sono problematiche ad origine prevalentemente psicologica che comportano implicazioni fisiche e si focalizzano sugli aspetti cibo/alimentazione, peso ed immagine del corpo. I disagi più diffusi sono Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa, Sindrome da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder).

Rappresentano il sintomo di problematiche psicologiche sottostanti che si esprimono in un comportamento alimentare auto-distruttivo e sono il risultato di un’interazione di influenze provenienti dalla società, dalla famiglia e dall’individuo: hanno, dunque, un’origine bio-psico-sociale.

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) che colpiscono maggiormente la popolazione femminile occidentale, stanno riscuotendo sempre più interesse, considerata la rapidità con cui il problema si sta diffondendo e l’ampiezza delle fasce di poplazione interessate, con l’esordio sempre più precoce e in alcuni casi ad incidenza tardiva, nonché un aumento dei tassi di mortalità. Ciò richiede, quindi interventi complessi, per la loro natura multidisciplinare e multifattoriale.
Fattori socioculturali:

Il nucleo di sofferenza di base è un profondo senso di inadeguatezza. Mara Selvini Palazzoli (1998) parla di “sentire un difetto in se stessa”. Una simile angoscia fa sentire impotenti, soverchiati e passivi; attraverso il controllo attivo, centrale nei disturbi dell’alimentazione, si concretizza il malessere generico in qualcosa di ben definito (il corpo, il peso eccessivo, le cosce troppo grosse), con l’effetto antidepressivo immediato consentito dall’esperienza della dieta.

Una tale strategia difensiva è possibile solo in una cultura in cui “magro è bello”. L’identificazione ed adattamento ai canoni sociali di magrezza trasmessi dai mass media e dalla pubblicità, che rappresentano i modelli sociali vincenti, svolgono un ruolo cruciale, soprattutto nell’adolescenza. Neumann (1979) sostiene che gli individui si conformano a questi “modelli vincenti” per paura di sentirsi inadeguati e di essere emarginati.

I mass media e la pubblicità producono modelli univoci, mai totalmente realistici: belle donne dalla vita facile (in cui magro è bello), uomini vincenti accompagnati dal successo e nella vita dalle belle donne, in cui la felicità viene raggiunta attraverso questi modelli sociali che, sono così realistici e allo stesso tempo concretamente irraggiungibili. Modelli che se non raggiunti portano al raffronto sociale e a sentimenti di frustrazione, vergogna, senso di inadeguatezza, sensi di colpa, depressione, riduzione dell’autostima, ansia e disadattamento, che possono poi condurre ai DCA.

Queste immagini di vita in cui regna la perfezione rimandata attraverso i media, condizionano le menti, le rendono fragili al di fuori della realtà e dei veri valori importanti, mettendo in discussione punti di riferimento, convinzioni profonde finora acquisite: in questo caso prevale lo sconforto, il disagio e l’inadeguatezza in un mondo che non si conosce più, alla ricerca di quel modello o quella meta sempre più lontana o irraggiungibile. Anche quando questi modelli vengono criticati e rifiutati dagli aspetti razionali della nostra mente, questa si lascia sedurre.

Nella cultura occidentale è emerso l’ideale di magrezza anche come simbolo di un progresso nella liberazione delle donne: il corpo femminile magro è antitetico al corpo formoso, rotondo, materno del passato, e sottolinea caratteristiche come l’indipendenza e l’autocontrollo. Un altro fattore sociale è che nella transizione dal vecchio al nuovo le donne oggi sono pressate perché svolgano a tempo pieno il ruolo di mogli e madri, oltre che di lavoratrici indipendenti, con una richiesta sempre più forte di essere “superdonne”. Nello strenuo tentativo di “avere tutto ed essere tutto”, è possibile che alcune donne sentano di non avere il controllo sulla propria vita e lo cerchino nella dieta e nella forma del proprio corpo.

 

Fattori familiari:

La famiglia influisce nello sviluppo dei disturbi alimentari fornendo i valori, gli atteggiamenti e i comportamenti che vengono modellati e rinforzati.

Un primo fattore, che si riscontra spesso, è la mancanza di comunicazione autentica delle emozioni. Raramente queste famiglie incoraggiano e modellano l’espressione diretta e aperta delle emozioni, perché i genitori non hanno imparato a loro volta dai propri genitori come esprimere i sentimenti in maniera adeguata.

L’assenza di spazi per l’espressione diretta delle emozioni ne comporta un accumulo che le rende ingestibili, travolgenti e incontrollabili; così il componente familiare con DCA si rivolge al cibo e alla gestione del proprio corpo per distrarsi dalla gestione emotiva.

Un altro fattore è la grande importanza che i familiari danno alla dieta, al cibo, al peso o alla bellezza fisica, con discorsi ricorrenti e/o con esempi comportamentali personali.  E i figli, per rispondere alle aspettative altrui, si adeguano a questi “valori”.

Anche la “sindrome della brava ragazza” influisce sullo sviluppo dei disturbi alimentari: essere sempre una brava ragazza, accondiscendente verso tutto ciò che i genitori desiderano, significa mettere da parte i propri bisogni personali, il che crea sentimenti di frustrazione e depressione. I sintomi alimentari forniscono uno sfogo indiretto a questi sentimenti.

 

Alcuni studiosi hanno descritto tre tipologie familiari più comuni, anche se la maggior parte delle famiglie è una combinazione di questi tipi.

  • La famiglia perfetta, che nega l’esistenza dei normali problemi esistenti in ogni famiglia, e che fa credere che i familiari siano perfetti. Questa convinzione determina una pressione ancora più forte a vivere secondo ideali irrealistici, una sempre maggiore insoddisfazione di sé che facilita l’innesco del processo psicologico nell’instaurarsi del disturbo.
  • La famiglia iperprotettiva: in questa famiglia manca la fiducia fondamentale nella capacità degli altri membri di avere cura di se stessi. In questo modo la famiglia rende la separazione particolarmente difficile per i figli, non li incoraggia ad essere autonomi e indipendenti, il che preclude lo sviluppo di un senso di competenza generale personale, che si ricerca nella specifica gestione del proprio corpo.
  • La famiglia caotica, non strutturata e instabile, in cui i genitori non sono disponibili e i figli si allevano da sé. Le regole non esistono o sono contraddittorie. Le emozioni qui sono espresse, ma in modo indiretto e sotto forma di rabbia. Tutto è incontrollabile e imprevedibile. L’alimentazione incontrollata qui è l’unica valvola di sfogo, mentre l’alimentazione restrittiva e i comportamenti di compensazione gli unici eventi prevedibili e controllabili.

 

Fattori individuali:

Alla base dei disturbi alimentari vi è un’insoddisfazione profonda e generica, definibile anche come bassa autostima, che viene più facilmente individuata e controllata dandone una concretizzazione legata all’aspetto fisico.

Un altro aspetto di personalità caratteristico è un deficit di consapevolezza, cioè l’incapacità di identificare accuratamente e di rispondere alle emozioni: in famiglia non c’è stato un modellamento a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni e sensazioni, e questo porta a un esagerato autocontrollo e rigidità finalizzati a soddisfare le aspettative altrui. Caratteristico è, infatti, il bisogno di approvazione/dipendenza: un momentaneo senso di autostima deriva dall’essere approvata dagli altri.

Da qui derivano il perfezionismo e la compulsività: il non riuscire a raggiungere la perfezione porta alla paura di non essere approvati dagli altri e a rafforzare la scarsa stima di sé, nonché ad evitare le situazioni che non possono essere gestite in modo perfetto. Ciò porta a sviluppare la necessità di controllare rigidamente e totalmente alcuni aspetti della propria vita, quali l’alimentazione e il corpo.

Legato al perfezionismo è anche il pensiero “tutto o nulla”, bianco o nero, magro o grasso, bello o brutto. Questo pensiero è molto rilevante nel comportamento restrittivo dell’anoressica o nell’abbuffata della bulimica e dell’obesa.

Anche la scarsa tolleranza all’ansia e alla frustrazione sono tipiche; la persona trova difficile ritardare la gratificazione: tipicamente desidera essere magra, ma non solo, desidera essere magra adesso. Ciò spiega la drastica riduzione dell’alimentazione e i comportamenti compensatori all’abbuffata.

Vi è, infine, la difficoltà a prendere decisioni: non solo non sono state abituate a farlo, ma facendo dipendere la loro autostima dal giudizio degli altri, spesso non decidono nulla. E attuano un comportamento compensatorio all’ansia o con le abbuffate (scaricamento della tensione) o con il comportamento restrittivo (controllo totale e negazione dell’ansia).


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