Pippo Fava parlava dei baroni della mafia diventati politici, dell’informazione sotto controllo. Oggi le cose sono peggiorate. E Pippo Fava non c’è più

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La sfida non è terminata. A 30 anni dal delitto di Pippo Fava il fatto di doverci ritrovare per  dimostrare che le mafie esistono, sono forti, restano dentro le istituzioni, condizionano le nostre vite, significa che non stiamo  vincendo e c’è una sfida che continua. Riascoltate le parole di Pippo Fava in quella famosa intervista a Enzo Biagi. Rileggete gli scritti di Peppino Impastato che oggi avrebbe compiuto 66 anni se quel giorno di maggio del 1978  i mafiosi non lo avessero fatto saltare in aria inscenando quella incredibile scena di morte che era così incredibile tanto da riuscire ugualmente a restare non smentita per decenni. E come dimenticare il presidente della Regione Piersanti Mattarella a 36 anni dal suo omicidio. Le loro restano parole piene di attualità.

Tutto cambia per non cambiare nulla. Nella Sicilia dei Gattopardi se questa frase mantiene tanta attualità non c’è da stare allegri. Il fatto grave è che  il detto gattopardiano oggi non appartiene solo alla Sicilia ma a tutta l’Italia. La linea della palma di Sciascia si è spostata da tempo su altre latitudini, è arrivata oltralpe, nelle city europee. Certo, è vero, c’è un pezzo di società civile che rispetto agli anni che segnarono gli ultimi giorni di vita di Fava, Impastato e Mattarella, oggi è sveglia ed attenta. Ma non stiamo vincendo. Anzi. Nei giorni in cui sentiamo tanto parlare di rottamazione, abbiamo la sensazione che  in questo Paese non si vogliono  rottamare la mafia e le alleanze tra la mafia e la politica e che forse Matteo Renzi l’altro giorno ha raccontato delle sue notti bianche per via di Matteo Messina Denaro perchè qualcuno gli ha fatto credere che la latitanza del boss latitante ha i giorni contati. Sul campo gli investigatori, quel pugno di donne e uomini che danno la caccia al boss ricercato da 22 anni, continuano a raccontarci tutt’altro. Non vogliamo pensare ad un pensiero buttato giù dal premier per fare audience. O è invece di audience che si tratta?

Pippo Fava, Peppino Impastato, Piersanti Mattarella a loro veniva davvero difficile pensare all’audience. Raccontavano il vero Paese in maniera autentica e senza teatralità, finirono ammazzati e solo da qualche anno c’è chi li celebra. Nella loro vita non avevano preso di mira avversari qualsiasi, ma boss del calibro di Nitto Santapaola, Tano Badalamenti, Totò Riina, che restavano latitanti non stando nascosti ma frequentando i salotti buoni delle città. Oggi Matteo Messina Denaro non è da meno come capo mafia, ma è cambiata la strategia. Oggi la mafia ha (per finta) deposto le armi, ma ti guarda come a volerti dire…bravo giornalista racconta pure, ti lasciamo vivo ma intanto eccoti una belle dose di processi da affrontare, fai i conti con le querele temerarie, gli amici per farti causa  non ci mancano. Sopravvivere , non vivere, questo è il desidero della mafia nei confronti dei non collusi. Pensate oggi ripercorrere e far proprio il pensiero di Peppino Impastato, quella testimonianza  forte e vera, la mafia è una montagna di merda, ti rende soggetto al rischio di affrontare un processo per vilipendio  alla reputazione… di un mafioso. Viviamo in un Paese dove la mafia oggi ti organizza anche l’antimafia. O almeno  ci tenta.

Qualche volta ci riesce e il giorno in cui questo gioco non gli riuscirà più statene certe troverà  nuovamente un simbolo da colpire. Ne abbiamo sentiti di collaboratori di giustizia raccontare nelle aule dii Tribunali come si decidevano  i delitti  “…cercavamo un giudice, un poliziotto, un  giornalista da uccidere…uno qualsiasi”. Perchè  questo non accada servono leggi severe, serve chiudere  le stanze dove mafia e massoneria incontrano la politica. C’è da rottamare…ma per davvero. Falcone e Borsellino quando erano in vita spesso dovevano rispondere a domande sugli scontri avvelenati dentro ai Palazzi di Giustizia, oggi quelle domande restano, sono l’attualità, ma non ci sono più Falcone e Borselino. Pippo Fava parlava dei baroni della mafia diventati politici, dell’informazione sotto controllo, le cose sono peggiorate. E Fava non c’è più. Impastato raccontava dei 100 passi che dividevano la società degli onesti dalla casa del mafioso, oggi forse già parlare di cinque passi è troppa cosa. e quei 100 passi non furono per Peppino una distanza di sicurezza. Mattarella  morì quando tentò  di buttare fuori la mafia dai grandi appalti. Oggi i grandi appalti non ci sono ma resiste la mafia che sa che un giorno o l’altro i grandi appalti  torneranno.Dove sono gli atti politici per combattere le mafie? Dove sono gli atti di Governo e di Parlamento per garantire l’informazione prima di ogni altra cosa? Non li vediamo perchè  non ci sono. Anzi cogliamo segni opposti. Non vogliano apparire come la famosa famiglia degli incontentabili (un vecchio spot pubblicitario) ma c’è poco da stare allegri. Le depenalizzazioni fanno urlare urrà a qualcuno, la nuova legge sulla diffamazione non risolve tutto eliminando il carcere ai giornalisti. Specchietto per le allodole.

Il prossimo 17 gennaio i magistrati e i giudici di tutta Italia protesteranno,   apriranno le porte dei Tribunali alla gente per farci rendere conto che c’è un Parlamento che vuole rottamare non alcuni articoli del codice penale…ma la giustizia. E dopo di che chi cercherà giustizia dovrà rivolgersi ai mammasantissima che allegramente si apprestano a ripristinare le loro anticamere. A noi  giornalisti dalla incrollabile voglia di raccontare non ci resta altro che chiamare chi ci sta a scendere in piazza a raccontarci questa Italia, bella e brutta, coerente e incoerente, contro le mafie e grande alleata delle mafie, con i suoi alti e bassi, con le sue contraddizioni e desiderio di riscossa. Prendiamo le sentenze che raccontano le malefatte italiane e scendiamo in piazza, riapriamo le Agorà, leggiamole ai cittadini. Perchè nessuno dovrà più dire di non sapere.


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