Riforma del lavoro: resta possibile il reintegro in caso di licenziamento collettivo

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Nel mondo del lavoro la cosiddetta rivoluzione copernicana, annunciata da Renzi in materia di licenziamenti, potrà produrre effetti non voluti dai suoi promotori. L’indebolimento della tutela dei diritti dei lavoratori ottenuto con la monetizzazione dell’articolo 18 e la drastica limitazione delle possibilità di reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, dovrebbero infatti dar luogo ad un rafforzamento del ruolo del sindacato, se esso dimostrerà di essere pronto alla prova.

E’ prevedibile che, per il timore di rappresaglie, molte controversie individuali sinora finite sul tavolo del magistrato, diventino occasione di confronto collettivo nei luoghi di lavoro. Limitata la possibilità di ricorso al giudice,  il singolo chiederà tutela al sindacato a livello territoriale ed aziendale. E le organizzazioni sindacali dovranno attrezzarsi per gestire le vertenze nei luoghi di lavoro non solo con i tradizionali mezzi di lotta, ma anche con lo strumento dell’informazione, sì da acquisire il consenso della pubblica opinione, anche con la denuncia di non corretti metodi di gestione. I rappresentanti sindacali peraltro per la loro funzione potranno fruire della tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18 contro i licenziamenti discriminatori.

In sede giudiziaria inoltre il sindacato sarà chiamato ad utilizzare sempre di più una norma dello Statuto dei Lavoratori che negli ultimi anni è stata applicata meno che in passato. Si tratta dell’articolo 28 che consente al sindacato di ottenere dal giudice con urgenza la repressione di ogni comportamento antisindacale tenuto dal datore di lavoro.

E’ uno strumento che i padri dello Statuto mutuarono dalla legislazione rooselvetiana del New Deal varata per contrastare lo strapotere del ceto imprenditoriale. Un esempio: la nostra legge sui licenziamenti collettivi prevede per l’impresa che voglia attuare un ridimensionamento due obblighi: informare esattamente il sindacato sulle ragioni della riduzione di personale e sui motivi per cui essa non può essere evitata; applicare, nella scelta dei lavoratori da licenziare, criteri oggettivi concordati con il sindacato o stabiliti dalla legge, che consentano di evitare favoritismi o discriminazioni.

Fino alla legge Fornero, in caso di licenziamento collettivo, anche il singolo lavoratore licenziato era abilitato a  chiedere individualmente al giudice la reintegrazione in caso di scorrettezza delle informazioni aziendali o di disapplicazione dei criteri di scelta. Con la legge Renzi il lavoratore potrà sempre agire individualmente, ma non chiedere, in base all’articolo 18, la reintegrazione, che sarà sostituita da un indennizzo.

Resterà però integro per il sindacato, nelle sue articolazioni territoriali, il diritto di denunciare al giudice del lavoro che l’azienda, violando i doveri di informazione o disapplicando i criteri di scelta, abbia tenuto un comportamento antisindacale. E il giudice avrà facoltà non solo di ordinare all’azienda di por termine alla condotta denunciata, ma anche di rimuoverne gli effetti provvedendo alla reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati. Gli apprendisti stregoni che intendono restaurare un potere imprenditoriale senza controlli potrebbero mettere in moto un meccanismo che sfuggirà al loro controllo. Ancora oggi, sempre che Renzi non pensi di riformare il New Deal, non tutto si può monetizzare: “labour is not a commodity”.


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