Diffamazione, fermiamo la proposta di legge

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La proposta di legge sulla diffamazione va fermata. Senza se e senza ma. Si tratta, infatti, di una riforma soltanto di facciata. La cancellazione del reato di diffamazione è uno specchietto per le allodole, una sorta di cavallo di Troia: nasconde insidie peggiori delle storture che si vorrebbero correggere. Abolire il carcere per i giornalisti – un’aberrazione più volte censurata dagli organismi internazionali – è necessario, ma non è sufficiente a garantire l’effettivo esercizio della libertà di espressione e di informazione nel nostro Paese. Soprattutto se, insieme con la riforma della diffamazione, dovessero essere approvati emendamenti presentati con l’unico scopo di imbavagliare la stampa e intimidire i giornalisti.

La riforma in discussione in Parlamento non affronta, anzi rischia di peggiorarlo, il problema delle querele temerarie, la cui urgenza è stata più volte segnalata e sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. A questo proposito, sarebbe opportuno che il legislatore italiano leggesse con attenzione il rapporto Onu sull’Italia, adottato il 29 aprile scorso, redatto da Frank La Rue, relatore speciale sulla promozione del diritto alla libertà di espressione. Troppe richieste di risarcimento senza alcun fondamento rappresentano una forma di intimidazione. L’Onu chiede esplicitamente che coloro che promuovono azioni temerarie siano condannati non soltanto al pagamento delle spese giudiziarie, ma anche al versamento di un’ammenda equivalente al risarcimento richiesto al giornalista.
Ma non è tutto. La proposta di riforma peggiora il diritto di rettifica: si vuole imporre ai direttori dei giornali di pubblicare rettifiche senza titolo e senza commento. Di questo passo, i giornali rischiano di trasformarsi in “bollettini dei rettificati”: chiunque, anche in assenza, per esempio, di una sentenza definitiva, sarebbe titolato a pretendere la pubblicazione integrale della propria versione.
Gli esempi potrebbero continuare. Non deve stupire il fatto che la classe politica italiana, evidentemente senza alcuna distinzione di schieramento politico, punti a imbavagliare la stampa. E’ pero inaccettabile assistere impotenti alla cancellazione di diritti e libertà fondamentali. I giornalisti italiani devono alzare la voce. Il 4 ottobre 2009 invasero pacificamente Piazza del Popolo, a Roma, per dire no ad una proposta di legge sulle intercettazioni telefoniche, che puntava di fatto a introdurre un bavaglio. Se la proposta di legge di riforma non sarà bloccata o radicalmente cambiata, sarà necessario tornare in piazza. L’Italia è al 49esimo posto nel mondo per la libertà di stampa. Una nuova legge bavaglio, insieme con la mai affrontata questione dei conflitti di interesse, potrebbe farla cadere scivolare più in basso.


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