Cgil e Uil: la nostra Italia che non si arrende

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C’è una frase che Biagi amava ripetere negli ultimi anni della sua vita: “Ci sono due categorie di uomini a me più care: gli operai e i partigiani”. Figlio di un operaio, da lui una volta promosso arbitrariamente impiegato perché un po’ si vergognava della professione del padre, Biagi amava raccontare che la madre, l’indomani, lo accompagnò a scuola e lo svergognò davanti a tutti, costringendolo a chiedere scusa alla professoressa e ai compagni per aver mentito. C’è un po’ della nostra storia contemporanea in quell’antica saggezza che torna, in quel rispetto per i deboli che oggi s’è perduto: il rispetto – lo ha ricordato qualche giorno fa Maurizio Landini – per una categoria di persone che, col proprio onesto lavoro, si sforza di mandare avanti un Paese ormai ridotto in ginocchio.
Per questo, oggi, consideriamo un dovere schierarci dalla parte degli operai e di tutti gli altri lavoratori di CGIL e UIL che hanno deciso di scioperare contro le politiche liberiste di un governo al quale consiglieremmo maggiore cautela. Cautela nei giudizi, cautela nei comportamenti, cautela nei rapporti umani che stanno venendo meno e cautela nei provvedimenti, onde evitare una frattura sociale irreparabile e pericolosissima.

Il vecchio Biagi, parlando dell’Italia e delle sue difficoltà, amava ripetere che questo è un paese che non si arrende, che dà il meglio di sé nei momenti difficili, quando le cose vanno male, quando tutto sembra perduto e sarebbe naturale, quasi scontato, arrendersi. E invece, poi, si compie il miracolo di piazza San Giovanni invasa di bandiere rosse della CGIL, scioperano gli statali uniti dei tre sindacati confederali e si ritrovano a piazza del Popolo, incrocia le braccia la FIOM e sfila per le vie di Milano e Napoli, gli studenti proclamano autogestioni e occupazioni nelle scuole e persino i commentatori più malevoli e prevenuti sono costretti a interrogarsi su quanto sta accadendo da Nord a Sud della Penisola.

Capita che l’orgoglio di un grande maestro del giornalismo diventi lo stesso di un giovane precario, di un operaio posto sotto ricatto nella sua fabbrica che minaccia di delocalizzare se i dipendenti non accettano paghe da fame e turni di lavoro massacranti, e ancora quello degli insegnanti, dei ricercatori, dei braccianti sfruttati nelle campagne del Meridione e dei più fragili, presenti in ogni angolo del Paese, in una sorta di pacifica ribellione degli esclusi che riporta alla mente alcuni capolavori del cinema di un tempo ma, soprattutto, parla di una contemporaneità fatta di diritti negati e dignità calpestate, di speranze tradite, di contratti di lavoro intollerabili e di una sordità complice da parte della politica che rischia di provocare danni incalcolabili.

La nostra Italia che non si arrende oggi incrocia le braccia e dice basta. Dice basta la UIL, tornata protagonista grazie all’impegno del nuovo segretario Barbagallo, e dice basta quella CGIL che vari governi hanno tentato in ogni modo di isolare e ridurre al silenzio, come se fosse possibile nascondere le storie, le voci, i sentimenti, le passioni civili e le rivendicazioni di un’organizzazione che conta quasi sei milioni di iscritti e si è vista costretta, suo malgrado, ad assumere quel ruolo di proposta politica attiva cui la sinistra, o sedicente tale, per troppo tempo ha rinunciato.
Scende in piazza e si prende per mano, scende in piazza e critica l’impianto del Jobs Act, scende in piazza e fa presente a Renzi che farebbe meglio ad ascoltare l’OCSE, di cui il ministro Padoan è stato per anni capo-economista, piuttosto che le sirene di quel Fondo Monetario Internazionale ricevuto con tutti gli onori a Palazzo Chigi, nella persona di Christine Lagarde, come se fosse possibile ridurre ulteriormente i salari e le pensioni in un Paese in cui milioni di persone vivono a ridosso o addirittura sotto la soglia di povertà.

La nostra Italia che non si arrende, infine, è la stessa che oggi ricorda il quarantacinquesimo anniversario della strage di piazza Fontana, ripudiando qualunque forma di fascismo, di violenza, di barbarie terroristica e di disprezzo per la vita umana, opponendosi con fermezza ai criminali di ieri e agli affaristi di oggi che infangano il nostro paese e spazzano via quel briciolo di onorabilità che era rimasto alle nostre istituzioni.

Ci auguriamo che il governo accantoni la supponenza e il rampantismo di certe dichiarazioni e decida finalmente di confrontarsi a viso aperto con questo mondo umiliato ma per nulla disposto ad alzare bandiera bianca. Altrimenti andremo avanti: come cittadini, come giornalisti, come testimoni di questo tempo difficile e misterioso, continuando a raccontare le storie di chi ha imparato – per citare sempre Biagi – quella che è la vera, straordinaria lezione della Resistenza: rinnovarsi ogni giorno ed estendersi a tutti i settori della società, dovunque ci sia un diritto da difendere, dovunque ci sia una voce inascoltata, dovunque ci sia una persona che ha bisogno di aiuto e solidarietà.


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