Mauritania, condannato a morte per apostasia. Impediamo l’esecuzione

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Anche la Mauritania si aggiunge ai paesi in cui criticare la religione islamica è considerato un reato grave, addirittura punibile con la pena capitale. Nel caso di Mohamed Cheikh Ould Mohamed, condannato a morte il 24 dicembre per apostasia, non si tratta neanche di aver irriso o sbeffeggiato l’Islam con post satirici, vignette o altro (azioni che in ogni caso non dovrebbero essere represse a colpi di codice penale).

L’uomo, 30 anni, era stato arrestato un anno fa per un articolo “serio” e politico: aveva scritto che all’interno della società del suo paese vige un ordine sociale iniquo ereditato dai tempi del profeta Maometto e che la sua classe, quella dei fabbri, è vittima di questa discriminazione. Di discriminazioni, in Mauritania, ce ne sono anche altre. Nonostante sia stata formalmente abolita nel 1981 e dal 2007 sia considerata un reato, la schiavitù è ancora estremamente diffusa nel paese. A subirne le conseguenze sono soprattutto le comunità nere, gli “haratin”, in nome della tradizione islamica malikita diffusa in Africa occidentale e strumentalizzata dalla leadership politica mauritana per legittimare la continuazione della schiavitù.

I militanti del movimento contro la schiavitù finiscono regolarmente in carcere, come successo anche di recente al leader dell’Iniziativa per la rinascita abolizionista, Biram dah Ould Abeid. Tornando a Mohamed Cheikh Ould Mohamed, nonostante si sia ampiamente scusato di fronte al giudice, egli rischia di essere il primo prigioniero messo a morte dal 1987, anno dell’ultima esecuzione in Mauritania.
Non appena saranno chiari i tempi e le modalità dell’appello contro la condanna a morte, sarà necessario mobilitarsi per impedire l’esecuzione.


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