Il Pd e la Cgil

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La situazione per il  Presidente del Consiglio-segretario del partito democratico si fa meno facile di quello che appariva in partenza di fronte alle prossime scadenze parlamentari  perché vedremo quel che succederà quando non soltanto la segretaria della CGIL Susanna Camusso, dopo il voto alla Camera dei Deputati  sul Jobs Act presenterà un ricorso formale all’Unione Europea giacché le nuove regole sul lavoro, appena approvate, violano gli articoli  30 e 31 della Carta di Nizza e occorrerà vedere prima come vengono scritti i decreti attuativi.

Ma il problema non si limita alla CGIL perché la minoranza interna del Partito democratico, intende-e lo ha già dichiarato senza esitazioni- che darà battaglia nell’aula del Senato dove la maggioranza renziana è più debole.  La Camusso ricorda anche le parole che il capo del governo ha  pronunciato nell’unico incontro  avuto nella Sala verde di Montecitorio con quello che resta per ora anche il segretario unico del maggior partito di governo.
“Renzi-ha dichiarato la Camusso- in quell’unico incontro ha detto che i ministri avrebbero discusso con le parti ma siamo sempre in attesa di vedere se è un annuncio o una cosa che realmente si determina.” E il segretario del

la CGIL ha ribadito: “La nostra lotta non nasce dall’approvazione in parlamento del Jobs Act né questa approva zione è destinata a fermarci visto che consideriamo sbagliate quelle norme. Andiamo avanti serenamente. “Del resto ventinove parlamentari, che fanno parte della sinistra di Cuperlo,  Fassina e Damiano, hanno lasciato l’aula al momento della votazione. L’attuale presidente del PD, Matteo Orfini, definisce “prime donne” i ventinove parlamentari che hanno lasciato l’aula al momento del voto. Ma  Cuperlo gli ha risposto in maniera netta:” “Siamo solo coerenti con la nostra storia politica.”

A Matteo Orfini, Cuperlo ha indirizzato una lettera molto chiara:”Che peccato caro Matteo. Sono stato anch’io, per qualche  settimana, presidente della nostra assemblea. Poi ho lasciato quel posto per le ragioni che sai. Qualche mese dopo, un capo della tua corrente è venuto a chiedermi di non ostacolare la sua candidatura allo stesso incarico…Ti ho votato come presidente del nostro partito, che dovrebbe essere una figura di garanzia verso tutti. Personalmente non mi sognerei di dire che la posizione di altre e altri, tra di noi, quando si esprime sul merito del provvedimento o di una legge risponde ad altre logiche che non siano quelle dichiarate. Mi piacerebbe che, nel nostro partito, questo principio  fosse condiviso da tutti. Ma sarebbe giusto che a condividerlo fosse almeno il nostro presidente.

La risposta di Orfini è stata rapida e, a suo modo, dura se ricorda che “all’inizio di questa legislatura io più di altri avevo perplessità sulla scelta di far nascere un governo con Berlusconi. Ricordo un colloquio che ebbi con te in Parlamento, in cui tu mi spiegasti che in quelle condizioni e dopo una decisione assunta collegialmente, non si poteva che bere l’amaro calice. Perché proprio nei momenti difficili è doveroso farli carico collettivamente delle responsabilità, anche se non si condividono  quelle scelte. E ancora sulla maggioranza Orfini precisa:” Io non sono entrato in maggioranza per il semplice fatto che per me non esistono più una maggioranza e una minoranza del PD, esiste soltanto il PD ” E ricorda ancora: “Il congresso è finito”.

La situazione appare ,a questo punto, non facile e  l’atteggiamento di distanza e indifferenza da parte del segretario non favorisce la soluzione dei problemi ma si capirà meglio come staranno le cose il 2 dicembre quando il provvedimento arriverà in aula.  Non c’è dubbio,peraltro, che il grande astensionismo elettorale registrato nelle due elezioni regionali di domenica scorsa in una regione importante del Nord come l’Emilia-Romagna e del Sud come la Calabria non si può liquidare con sufficienza come se fosse mero frutto di stanchezza o di disaffezione improvvisa all’esercizio del voto.


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