Governo e informazione uniti nel barare. All’italiana

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Leggiamo basiti, grandi titoli, commenti entusiastici di Matteo Renzi, delle sue ancelle, miliziane sarebbe meglio dire, ministri che cantano vittoria, Confindustria che esulta. Juncker ha ceduto, arriva una paccata di miliardi. 300, no di più, 315. Abbiamo già pronti 40 progetti fanno sapere le “veline” che si usavano una volta e dettavano la linea ai giornali “amici”, quasi tutti, salvo eccezioni, l’Unità che  forse non ci sarà più.  L’informazione non si muove quasi più su carta, ma la sostanza è la solita. I  giornali veri, quelli che si trovano in tutta Europa, raccontano un’altra storia.

Quei 315 miliardi europei che non ci sono
Quei miliardi non ci sono. A malapena la Commissione europea ne racimolerà una ventina raschiando il barile. E gli altri ? È noto a tutti che si spera in investimenti dei privati e pubblici, dei governi. Si prende un parametro: un miliardo può attrarre investimenti per 15 miliardi e si arriva alla fatidica quota. Un esperimento già fatto qualche anno fa e fu un fallimento.  Se vai a leggere non solo i titoli ma gli articoli scopri che anche i giornalisti italiani sanno bene che si tratta di una truffa mediatica. Ma il titolo dice tutto.  Al lettore frettoloso, alla stragrande maggioranza, quel titolo resterà impresso.  Poi lo dice anche la tv. Renzi lo trovi in video praticamente sempre. Petto in fuori, mascella serrata, sprizza  entusiasmo da tutti i pori, usa parole forti “onore”, “disciplina”, richiama tutti i cittadini. Certo, parole importanti con un piccolo difetto, le usava Mussolini quando incitava gli italiani, fino al famoso “la  volete la guerra”. Pensate, si risente perfino Alessandra, la nipote del duce. Ripassi la storia. Ci fosse uno straccio di giornalista che gli  fa notare che i 315 miliardi non ci sono. Il manovratore non va disturbato.  Ci vuole un economista, fuori dal coro, altrimenti gli italiani faranno conto su quei miliardi che non  ci sono. Cose da magliari.

Istat la disoccupazione aumenta. Il governo: no  aumenta l’occupazione
Guardiamo i dati sull’occupazione. L’Istat dice che va male, come riportiamo in altra parte del giornale. I numeri sono numeri. Ma si può barare anche su quelli, basta qualche marchingegno aritmetico. Vediamo come si informa il cittadino. Si fa un titolo dove si dice che la disoccupazione  aumenta, seconda riga aumentano gli occupati. Mistero tutto italiano. Il lettore che ne capisce? Niente. Meglio così. Ancora. In questi giorni hanno luogo scioperi, scioperi anche a rovescio ripristinando una vecchia tradizione del movimento operaio, manifestazioni, cortei, dai metalmeccanici agli edili, tanto per citarne alcuni. Forse in cronaca, secondo la migliore tradizione dell’informazione occultata. Nelle pagine nazionali si riportano solo alcune frasi pronunciate da Landini o da Camusso.  Chiamano in causa il governo, si pronunciano contro il jobs act, la legge di stabilità. Lavoro e diritti. Si pubblicano solo quelle insieme alle risposte che arrivano dal Pd, il presidente Orfini, che ha trovato il suo ruolo, subito all’attacco dei sindacati, della Cgil, delle minoranze del partito che presiede.

L’approvazione del jobs act, una sconfitta per la sinistra, ma il sindacato non molla
Abbiamo finito? No. L’approvazione del jobs act, l’abolizione dell’art.18 viene definito da Renzi un fatto storico. Secondo Poletti avrebbe creato  400 mila posti di lavoro, secondo il  sottosegretario  Del Rio  130 mila, secondo il premier  100 mila. Non solo (e questo è un po’ meno comprensibile): si dichiarano soddisfatti anche alcuni esponenti della minoranza, perché il lavoro in Commissione grazie al presidente Damiano avrebbe prodotto miglioramenti. Fortunatamente la Cgil, i sindacati non mollano.  Non vedono significativi miglioramenti e, francamente non li vediamo neppure noi. E non siamo soli. Tito Boeri su Repubblica indica ai sindacati una serie di richieste che dovrebbero fare per dare davvero un segno positivo al jobs act. In realtà, a partire dal 2003, dopo la grande manifestazione della Cgil di Cofferati, tre milioni ai Fori Imperiali, la Confederazione di Corso d’Italia promosse la raccolta di firme su una proposta di legge di iniziativa popolare, quasi cinque milioni.

Colpita la dignità del lavoro: demansionamento e controllo a distanza
Basterebbe tirar fuori la proposta da qualche archivio. Ma il jobs act non è solo l’abolizione dell’articolo 18, certo molto grave.  Sono il demansionamento, il controllo  a distanza. Due sole considerazioni: il demansionamento non è solo la perdita di salario che, come è noto, è composto  da diverse voci e talune saranno eliminate. È perdita di “professionalità”, di tutto quello che hai acquisito e che dà dignità al lavoro. E sul controllo a distanza, dice Damiano che il governo ha escluso che riguardi le persone, ma gli strumenti che  adoperano, telefoni, internet, ecc.  Far finta di non capire, anche un giornalista dovrebbe capirlo, che gli strumenti sono usati da persone. In particolare questo riguarda il telelavoro. Ti guardano , ti controllano, ti possono licenziare anche se ti alzi dal computer per prendere un caffè. Lo stesso Damiano ha chiesto che la Commissione lavoro della Camera possa “partecipare” alla scrittura dei decreti. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. Già, perché tutto va ancora scritto e Sacconi e Ichino vogliano portare a casa la vittoria.


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