Una sola speranza per Asia Bibi

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La decisione del 16 ottobre della corte d’appello di Lahore, che ha confermato la condanna a morte di Asia Bibi, è un atto spietato, l’ennesima conferma dell’iniquità e dell’arbitrarietà della legislazione contro la blasfemia in vigore da quasi 30 anni in Pakistan e che dev’essere abrogata una volta per tutte. Asia Bibi, una donna cristiana, è stata condannata a morte nel 2010 per aver espresso commenti offensivi sul profeta Maometto nel corso di un alterco con una donna musulmana. Non avrebbe mai dovuto essere processata, figuriamoci condannata a morte.

L’avvocato di Asia Bibi ha annunciato che presenterà l’ultimo appello a disposizione alla Corte suprema. Intanto, le condizioni fisiche e mentali della donna – fiaccata da quattro anni di pressoché totale isolamento nel braccio della morte – sono pessime. La legislazione contro la blasfemia, introdotta nel 1986 dal dittatore Zia ul-Haq, colpisce non solo le minoranze non musulmane ma anche e soprattutto i musulmani considerati “eretici” come gli ahmadi. Viene spesso usata come strumento di vendetta per risolvere questioni personali e le persone additate, denunciate o incriminate come “blasfeme” subiscono aggressioni da parte di folle di facinorosi.

Criticare la legge costa caro. Il 4 gennaio 2011 il governatore dello stato del Punjab, Salmaan Taseer, è stato ucciso da una delle sue guardie del corpo. Stessa sorte per un altro esponente istituzionale, il ministro per le minoranze Shahbaz Bhatti, ucciso dai talebani pakistani il 2 marzo 2011.

 


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