L’Italia vista dall’estero

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Nella parte finale del suo intervento alla Segreteria del Pd, Matteo Renzi, ha ricordato il rischio di affidarci (o essere affidati) al predominio della tecnica e della tecnocrazia, o a trovarsi a fare ciò che altri, Bruxelles e altri organismi internazionali ci diranno (di fatto ci imporranno) di dover fare.
Un dato è certo. Sono molte le istituzioni finanziarie e istituzionali che si inseriscono nella vita del nostro paese con pressioni così forti che non possono essere considerate, nei fatti, se non vere e proprie imposizioni con risultati a volte disastrose sull’ economia del nostro come di altri paesi (non c’ è niente di peggio di una ricetta sbagliata). Il discorso sul valore, su come si muovono queste “autorità”, sugli esiti dei loro interventi, sulla loro conoscenza e sul loro reale interesse ad intervenire sui problemi del singolo paese, sostenuto da una loro prepotente forza e disponibilità economica, forti di un peso istituzionale non ignorabile, è venuto il momento di discutere in maniera ampia e, visto che siamo in democrazia di rendere partecipi tutti i cittadini di quale sia la reale credibilità, il modo di agire di queste autorità.

E’ nota la volontà della Germania di imporre le regole di austerità da Lei voluta. Quasi l’austerità agisse “ex opere operato”. Questo che altro non è, alla prova dei fatti economici,  che un’ ideologia: l’ austerità, costi quel che costi, è diventata una vera e propria dittatura tedesca. Questo indipendentemente dal fatto che alcuni di noi, senza ignorare le colpe e le gravi responsabilità della nostra storia, quando sente parlare di “dittatura tedesca” sente scorrere sul proprio corpo la pelle d’ oca anche se questo ricordo, che ha inciso indelebilmente la nostra memoria, nulla ha a che fare con la Germania di oggi. Ovviamente i tempi e le idee sono cambiati (i tempi, non la storia) e sappiamo che in questo caso il termine “dittatura” è una metafora che si riferisce al potere politico ed economico anche se a volte sembra non essere priva di una rigidità, sostenuta dalle truppe del potere economico,  che sembra richiamare, anche se per echi lontani ormai privi di forza, la loro storia.

In un editoriale molto acuto pubblicato su Il Corriere della sera (2/9/2014), Ernesto Galli della Loggia, osserva le conseguenze dell’ “evoluzione della costruzione europea, rappresentata dalla virtuale egemonia della Germania, un’ evoluzione non voluta né prevista da nessuno dei padri fondatori e da nessuna delle forze ideali  dell’ europeismo”. La Germania ispira decisioni, raccomandazioni, obbligazioni di Bruxelles. E’ proprio sicuro, si chiede Galli della Loggia, che una simile Europa, questa Europa, corrisponda ai nostri interessi nazionali?”.

I ministri delle finanze e dell’ economia della Germania, ruvidi, implacabili assertori dell’ austerità,nuovo metro di Parigi che stabilisce l’ unità di misura del progresso economico, non si peritano di riprendere questo e quello senza una pausa, una cautela. E’ possibile che non provino mai l’ ebbrezza del dubbio? Persino l’ operato di Mario Draghi viene da loro discusso, ripreso, censurato. E tuttavia una timida domanda viene da porsi: ma perché non hanno esercitato il controllo dell’ austerità con le loro banche. E’ vero o non è vero che molte delle imposizioni fatte trangugiare alla Grecia, pagate dai cittadini greci con lacrime e sangue, lasciando segni che portano ancora la disperazione e la sofferenza sociale nella carne della popolazione, ebbene siamo sicuri che queste misure così brutalmente imposte non siano state volute per permettere alle banche tedesche di rientrare dai loro incauti investimenti? I ministri dell’ economia e delle finanze delle Germania, mentre le loro banche mettevano a rischio i risparmi dei cittadini tedeschi, dov’ erano? La Banca centrale tedesca cosa sorvegliava? E’ vero che il “mea culpa” si batte sempre sul petto del vicino. Ma, a volte, un po’ di misura, non guasta.Soprattutto non trattiamo la gente come se avesse l’ anello al naso.

Naturalmente quando si parla di ruoli internazionali che incidono nella vita dei paesi europei sarebbe errato limitarsi alla sola Germania ancorché la sua influenza a livello economico sia molto grande..

Proprio in questi giorni emerge il caso di una funzionaria della Fed, a suo dire e se non capiamo male, licenziata dalla Fed per un indagine troppo dura nei confronti della Goldman Sacs. Riprendiamo da Repubblica (17/9/2014). Nelle indagini interne, registrate segretamente da questa funzionaria, “si sentono i dirigenti della Fed che definiscono ‘shadowy’, cioè torbidi, alcuni comportamenti di Goldman Sachs. Ma poi non hanno il coraggio di andare fino in fondo. La banca d’ affari è troppo potente? Metterla sotto accusa può avere effetti destabilizzante sull’ intero sistema? O si tratta semplicemente di un atteggiamento di sudditanza?”. Fed e Goldman Sachs difenderanno le loro ragioni e il loro prestigio. Se i fatti esposti sono veri sono molto gravi, ma noi non siamo un tribunale.  Più modestamente, ci limitiamo ad osservare che questa banca, pubblica il rating dell’ Italia e che le sue valutazioni incidono sulla nostra economia. Queste valutazioni sono vangelo? Ci sono stati casi in cui unn loro errore ha danneggiato il nostro Paese?

Un’ altro fatto grave riguarda l’ Ocse. E’ notizia di questi giorni. Viene pubblicata ancora una volta da Repubblica (25/9/2014). E’ scritto nell’ articolo: “Tutta colpa del Tfr. E di un errore dei ricercatori dell’ Ocse.” L’ errore è segnalato dalla Banca d’ Italia, scoperto (dopo quindici anni di persistenza) da un giovane studioso di diritto del lavoro dell’ Università Bocconi di Milano. Fatti i ricalcoli ed eliminato l’ errore, risulta che il nostro mercato del lavoro non è affatto rigido. Lo è meno della Germania, meno dell’ Olanda, meno della Svezia. Però, intanto, per 15 anni le istituzioni europee ci hanno rimproverato l’ eccessiva rigidità del mercato del lavoro e chiesto  “riforme strutturali” che dovrebbero salvare la nostra  economia. Ma che salvano se i conti che sono alla base delle loro valutazioni sono sbagliati. Sbagliata la diagnosi, le medicine che ci impongono non possono che essere disastrose visto che partono da dati e considerazioni erronei. Una domanda. Ora che gli errori sono stati scoperti e che per quindici anni si è operato ed emesso verdetti  su indicatori che hanno preso una cantonata dietro l’ altra, qualche capo ricercatore dell’ Ocse ha dato le dimissioni? Qualche altro è stato cacciato? Non se ne ha notizia. Ma è mai possibile. Non sono forse i predicatori della meritocrazia?

Veniamo al Fondo monetario internazionale che ci ha chiesto l’ abolizione dell’ articolo 18, prezzo che Renzi in questi giorni, in qualche modo è costretto a pagare, pena conseguenze non irrilevanti. L’ Fmi ha anche messo le premesse per far saltare il nostro sistema pensionistico, le pensioni degli italiani. Che gente è questa? Per le sue politiche, per la sostanza dei suoi interventi l’ Fmi è stato soggetto a critiche anche aspre da parte di numerosi intellettuali ed economisti. Personalità della cultura come  Noam Chomsky, Jaean Paul Fitoussi, da premi Nobel come Amartya Sen e Joseph Stiglitz. Chi dirige l’ Fmi? La Signora Christine Lagarde nel cui paese di origine, la Francia, la magistratura ha avviato un’ indagine. Il giudice ha anche ordinato alla polizia una perquisizione dlel’ appartamento della Signora Lagarde. L’ inchiesta non si è ancora conclusa e non sappiamo come si concluderà, ma è interessante la dichiarazione rilasciata da un portavoce dell’ Fmi all’ indomani della perquisizione: l’ Fmi stima che la procedura giudiziaria non rischia per il momento di far perdere troppo tempo alla direttrice generale che resta compatibile con gli obblighi derivanti dal suo incarico. Vien logico domandarsi: perché l’ inchiesta non le fa perdere troppo tempo?

Il nostro è, secondo alcuni, è un disgraziatissimo paese, ma siamo ricordo che ha inciso indelebilmente la nostra memoria nulla ha a che fare con l’ oggi. Convinto che se qualcosa del genere fosse capitato a un ministro della Repubblica qualcuno avrebbe chiesto le sue dimissioni.


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