Art.18? Discutiamo anche del ruolo del capitalismo italiano

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Quale che sia l’esito finale dell’articolo 18, una cosa è certa: pochi articoli di legge hanno suscitato un dibattito così violento, animato, teso, contraddittorio, puntualmente riportato dai mass media, a volte con precisione di dati, a volte con schieramenti ideologici, il tutto mescolato in un calderone tale che, nella confusa pluralità delle voci e degli anatemi, non sempre è stato facile discernere il grano dal loglio. Un articolo di legge sul quale è perfino intervenuto il Fondo monetario internazionale, diretto da Christine Lagarde, balzata agli onori delle cronache anche per il fatto che la magistratura francese ha avviato un inchiesta giudiziaria per il periodo in cui era ministro del Governo francese. L’ intervento dell’ Fmi ha dello stupefacente perché i dati statistici dicono che questo articolo riguarda un numero limitato di casi che per lo più, d’ accordo il giudice, vengono risolti con una compensazione economica, come avviene in molti altri Paesi.

Ha ragione da vendere Renzi quando dice che gli organismi internazionali non possono dettarci i compiti come se fossimo degli scolaretti mezzi tonti. Avanti di questo passo, prima o poi, verranno a dirci dove mettere i sensi unici nelle strade provinciali.  Ma tant’ è! Anche a livello internazionale si è detto: non si può tornare indietro, ormai è un simbolo (sic). Qualcuno ci è andato più pesante: è uno scalpo. Ovviamente queste sono argomentazioni che nulla hanno a che fare con il diritto e con l’ economia.  Che si siano inserite argomentazioni di questo tipo non ha fatto altro che intorbidare le acque e rendere limacciosa la discussione. Ma su tutto, a parte le banalità e le superficialità (novatori contro conservatori. Il progresso contro la conservazione. Ma va!), quello che colpisce è stato l’ accanimento da molti dimostrato nei confronti dei sindacati. Sui sindacati si possono dire molte cose, mettere sul loro conto tutte le colpe che hanno avuto, ma addebitare loro la “nefandezza” dell’ Art. 18, proprio non sta né in cielo, né in terra.

Una legge nasce da un’ esigenza precisa. E’, o dovrebbe essere, una risposta in termini di diritto, a un problema reale. Discutere dell’ articolo 18 non vuol dire discutere solo dei sindacati, ma anche del capitalismo italiano, della sua storia. Abbiamo dimenticato i posti dove alle donne venivano fatte firmare (e qualcuno dice avvenga ancora) le lettere di dimissioni in bianco nel caso restassero incinte. Non c’ è stato forse qualche industriale che imprestava i soldi, che poi si faceva restituire, perché le donne tessessero la maglieria a casa, in modo che non dovevano pagare straordinari, contributi sociali. Mi ha raccontato mio padre che nella fabbrica dove lavorava lui, prima di assumere un operaio, volevano una dichiarazione del parroco. Doveva dichiarare che la persona da assumere non era comunista. Solo pochi anni fa ho sentito il padrone di una fabbrica  italiana di televisori di un certo successo dichiarare alla televisione apertamente e senza perifrasi che mai e poi mai avrebbe consentito ai sindacati di entrare nella sua fabbrica.

Discutiamo dei sindacati. Bene. Vogliamo discutere del capitalismo italiano? Giovanni Borghi, imprenditore geniale, creò un’ impero nel settore dell’ elettrodomestico. Che fine ha fatto quell’ impero. Che vicissitudini ha attraversato? I padroni italiani di quell’ azienda hanno saputo restare sul mercato o sono stati costretti a vendere a un’ azienda straniera. Altro impero fu la Zanussi. Morto in un incidente aereo Lino Zanussi quell’ azienda, affidata alle cure di un Professore universitario, è rimasta italiana? Assolutamente no. La Fiat ha voluto per sé l’ Alfa Romeo e la Lancia. Prima ancora che arrivasse Marchionne, che fine hanno fatto questi che erano marchi di prestigio, con una qualche penetrazione nel mercato estero? Le Banche italiane sono sempre state ben gestite? Su questo fronte abbiamo una situazione tranquilla? Vogliamo discutere su come hanno fatto i soldi i Riva o di come sono stati costretti a lavorare i lavoratori dell’ Ilva? I morti a causa dell’ amianto a Marghera? Quando il sindacato poneva il problema dell’ ambiente di lavoro, della salute in fabbrica, era reazionario? Un nemico dell’ innovazione tecnologica?

Si può essere d’ accordo o non d’ accordo sull’ articolo 18, ma addossare tutte le colpe della crisi economica al Sindacato e alla difesa (cauta nel caso di Cisl e Uil) dell’ Articolo 18 non sta in cielo né in terra.

L’ attacco ai sindacati e la loro perdita di credibilità (che analizzeremo in un altro articolo) è una mina vagante, una scorciatoia, un’ attacco alla coesione sociale. Se c’ è un azienda che storicamente ha combattuto le tre maggiori organizzazioni sindacali è stata la Fiat, tanto da arrivare a creare un suo sindacato, il “sindacato giallo”. Quando non riuscì più a governare la fabbrica si rese conto che senza delle forti organizzazioni sindacali non l’ avrebbe più ripresa in mano. Le Organizzazioni sindacali furono leali con gli operai e con la Fiat. La Fiat è sempre stata leale con i sindacati?

Se questa crisi continuerà, diventerà insostenibile, il malessere scoppierà in forme incontrollate a chi ci si rivolgerà? Ai telegiornali?


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