Medioriente, i pericoli che si vedono poco

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Dal vicino Oriente arrivano notizie che dovrebbero preoccuparci se tutti nel nostro Paese facessero bene il mestiere che loro tocca e le notizie dal mondo filtrassero con la rapidità e l’ importanza che meritano e si desse nei mezzi di comunicazione italiani minore importanza a pettegolezzi e notizie frivole che invece non ci lasciano mai anche in questi ultimi giorni. Tra esse chiederei ai nostri lettori di seguirmi nel breve racconto, a cui abbiamo già accennato la settimana scorsa. Su un problema che è balzato all’attenzione dei telegiornali di tutto il mondo e delle grandi cancellerie: il reclutamento da parte dell’ISIS di giovani occidentali all’interno del
l’armata del califfato proprio ora che il presidente americano Barak Obama ha deciso di inviare bombardieri degli Stati Uniti nei cieli dell’IRAK e della Siria di Assad.
La notizia, diffusa la settimana scorsa in tutto il mondo che ben cinquanta giovani italiani abbiano deciso, par
tendo dalla Siria e da altri paese di Oriente in cui si trovavano, di arruolarsi nell’armata del Califfato islamico, non può non preoccupare una parte rilevante della nostra opinione pubblica di pericoli che possono raggiungere il nostro Paese e una prova ulteriore si è avuta quando proprio ieri Giovanni Floris, nella sua trasmissione sulla Sette, intitolata Diciannove e qua
ranta ,ha interrogato il presidente dell’IPSOS, Nando Pagnoncelli, che ha spiegato che più dell’ottanta per cento degli italiani interrogati dalla società di sondaggi appare preoccupata per conseguenze possibili nella società italiana dalla guerra che si è scatenata tra gli Stati Uniti e dieci stati arabi che si sono uniti a lei (la Turchia di Erdogan, come la Germania di Angela Merkel, hanno deciso di non prender parte alle ostilità ma vi partecipa la Gran Bretagna di Cameron, che viceversa aveva dichiarato nei giorni scorsi che sarebbe rimasto fuori).
E proprio ieri Gabriele Iacovino, coordinatore del Centro Studi Internazionali, ha dichiarato che i pericoli per l’Italia ci sono. E la ragione fondamentale è la situazione caotica, di vera e propria incontrollabilità che caratterizza la Libia del dopo Gheddafi. L’analista afferma che il ruolo della coalizione, di cui l’Italia fa parte, è soprattutto di affiancamento degli Stati Uniti e di legittimazione sul piano internazionale dell’intervento militare in Iraq e in Siria. “La maggior fonte di rischio-ha aggiunto Iacovino-è la Libia, un paese fortemente instabile a brevissima distanza dalle nostre coste. Non c’è differenza in quello che sta succedendo in Libia e la situazione di caos che caratterizza da anni la Somalia.” Se la Nato non ha discusso l’argomento (come avrebbe già potuto fare nel vertice tenuto nel Galles il 4 e il 5 settembre scorso)per le pressioni esercitate da alcuni paesi membri dell’Est Europa, questa non è una buona ragione per ignorare il pericolo maggiore che è quello che la Libia cada nelle mani degli jihadisti.


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