Il patrimonio d’arte perso nelle nebbie di Franceschini

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Il “nuovismo renziano” rottama l’antico per principio. E la riforma del ministro dei Beni culturali non fa che aumentare il livello di confusione nella gestione delle risorse italiane. Così la tutela è sempre più a rischio.

“Il provvedimento ministeriale Franceschini, pallidamente pubblicato soltanto ieri, 19 settembre, dopo un mese di latitanza inutile ed anticostituzionale, è indecente. Il testo demolisce, per esempio, l’Emilia, la Romagna e le Marche uccidendo le tradizioni storiche e artistiche di due regioni. Che spero protesteranno, se hanno dignità”. Questi giudizi pesanti come pietre sono stati calati nel dibattito promosso a Bologna per Artefiera del libro. E sono soltanto gli ultimi macigni di una fitta serie dedicati alle misure previste nel decreto del Presidente del Consiglio firmato da Dario Franceschini titolare del Collegio Romano. Parzialmente difeso da qualche docente universitario sentitosi gratificato dal fatto che il provvedimento governativo selezioni diciotto musei fra gli oltre 400 ed escluda (così il ministro in varie interviste) che tali “punti di eccellenza” possano essere diretti da storici dell’arte in carriera nelle Soprintendenze. Il provvedimento garantisce che saranno affidati (da chi?) a “persone che vengono da esperienze di gestione di altri musei all’estero o con una professionalità specifica”.

Si pensava che il governo Renzi aprisse decisamente ai privati nella gestione dei musei. Invece all’art. 35 essi rimangono “senza scopi di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo”. Ma senza “lucro”, addio privati che non siano mecenati puri. Di più: in una intervista a Francesco Erbani di “Repubblica” Franceschini ha escluso che i privati entrino nei grandi musei, semmai in quelli piccoli. Il livello della confusione sale.

La cosa più certa, in tanta nebbia istituzionale, è la netta scissione operata, sin dal vertice ministeriale, fra Belle Arti, centri storici, paesaggio, territorio da una parte e Musei dall’altra. Una scissione antistorica, disastrosa a partire dai Musei archeologici nati o cresciuti quali musei di scavo o comunque espressione di un’area storica, culturale prevalente. Che fine farà la Soprintendenza speciale per l’archeologia Roma e Ostia? Con o senza Colosseo-Palatino? Prevarrà la logica turistica? Rimarrà la gran pacchia delle società di servizi museali aggiuntivi? Questo macigno che da un quinquennio pesa sui maggiori musei non viene spostato di un millimetro.

Si doveva ridurre il testone centrale del MiBACT e restituire forza e autonomia alle sue indebolite articolazioni territoriali. Il testone centrale sostanzialmente rimane con 12 direzioni generali più la segreteria centrale e le segreterie regionali. Che prendono il posto delle direzioni generali regionali cambiando di nome e però mantenendo molte delle pesanti e criticate competenze sopra la testa (o le spalle) delle Soprintendenze. Queste ultime vengono accorpate: quelle ai Beni storici e artistici (fra le più “antiche”), di nuovo chiamate “Belle Arti”, ai Beni architettonici e paesaggistici, creando infiniti problemi per archivi, uffici, gabinetti fotografici e altro ancora. Modello che contraddice in modo frontale quello saggiamente adottato da personaggi che si chiamavano, agli inizi del ‘900, Corrado Ricci e Adolfo Venturi (giganti rispetto ai troppi nani in circolazione) i quali avevano definito per aree storiche i confini delle varie Soprintendenze.

Non basta. Nascono infatti i Poli Museali Regionali “articolazioni periferiche della Direzione Generale Musei”. Quindi nelle regioni si avranno due linee di comando riferite a due distinte direzioni generali: una per i beni storici e artistici che non stanno nei Musei statali, ma nei musei locali, laici ed ecclesiastici, in chiese, conventi, palazzi nobiliari e vescovili e un’altra per i beni facenti parte del circuito museale statale.  Alla faccia della semplificazione. Ma poi chi coordina segretari regionali e direttori dei Poli Museali essi pure regionali? E pensare che i Poli Museali esistenti in talune città erano stati criticati a fondo perché, a Roma per esempio, erano serviti soprattutto a sottrarre fondi ai singoli grandi musei, per organizzare mostre su mostre (spesso di livello mediocre).

E’ il “nuovismo” renziano che passa in un provinciale trionfo e che in realtà tende – oggi con lo Sblocca Italia e col DPCM Franceschini, domani con la legge urbanistica Lupi – a ridurre i poteri e quindi i controlli, la tutela prevista dall’articolo 9 della Costituzione e realizzati sin qui dal Ministero per i Beni e le Attività culturali attraverso le Soprintendenze territoriali. Le quali hanno due torti fondamentali: a) essere state istituite “nell’Ottocento” (errore storico marchiano, furono create nel 1907, in pieno riformismo giolittiano) ed è noto che per Renzi ogni cosa del passato è vecchiume da rottamare, la storia in primo luogo; b) rappresentare organismi tecnico-scientifici “monocratici”, i quali decidono cioè in base a metodi non politici e pertanto risultano politicamente incontrollabili. Il che andava male per Berlusconi, ma ancora peggio – sono parole sue (presto ne pubblicheremo un’antologia) va per Matteo Renzi.


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