L’Unità. Pd svegliati, c’è poco tempo per salvarla

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Morte non accidentale di un organo di stampa. L’Unità rischia di chiudere i battenti. Sembra incredibile. Quello che non era avvenuto in tempi bui e quando era persino un miracolo trovare la carta, è successo sotto il cielo del partito democratico di Renzi: nella gaia era del 40,8% dei voti alle ultime elezioni. Bella carta da visita per chi si vuole alfiere del riformismo moderno. Del resto, a quanto è dato sapere, anche l’altro giornale della filiera, “Europa”, non se la passa bene. Insomma, la voce fondata nel 1924  da Antonio Gramsci cessa di uscire proprio nel novantesimo compleanno: ricordato da un recente bellissimo fascicolo speciale. Un brivido percorre la schiena, perché dentro e sotto il dramma si cela, forse, qualche verità nascosta del fenomeno renziano, al di là dell’iconografia corrente. Davvero il presidente-segretario, così attento persino alle pieghe riposte della società mediatica, non coglie il valore simbolico di un fatto tanto traumatico? Che va al di là persino dello specifico luogo- agorà di dibattito e di confronto- del quotidiano che fu del Pci, come è ovvio. La morte de l’Unità ci interpella, ancora, sul grado di libertà della e nell’informazione in un’Italia già posizionata attorno al cinquantesimo posto della graduatoria di “Freedom House” e chissà ora. E sì, l’agonia riguarda la gran parte dei giornali meno omologati al mercato e alle sue logiche, pressoché privi di raccolta pubblicitaria, diventati paradossalmente quasi gli unici nudi e puri del settore nella crisi della politica, mentre altrove gli incroci  e i legami di interessi vegetano. Il Fondo per l’editoria, al di là dei vizi di origine e dei suoi limiti, langue senza prospettive. Ecco, la vicenda de l’Unità rischia di prefigurare una frana imminente, nell’incoscienza di un sistema da tempo disinteressato alle sorti della carta stampata. Laddove l’argomentazione e la ricerca, l’uso rigoroso della parola prevalgono sulle strisciate di colore populistico-demagogico: la cifra odierna della comunicazione in un paese dove è in corso la desertificazione culturale.

Si susseguono in queste ore prese di posizione e appelli: sempre tardi, accidenti. Qualcosa parrebbe smuoversi. Si rispetti l’eroica redazione de l’Unità . Quante volte il direttore Landò e il comitato di redazione hanno lanciato grida d’allarme per diversi mesi. Come fecero i predecessori. Ma, a parte l’indebolita compagine proprietaria, il soggetto politico moralmente responsabile non batteva colpi. Ora qualcuno ha detto che il giornale risorgerà. Davvero? Attenzione, non c’è tempo. Quando una testata chiude l’ingranaggio si inceppa. E diventa difficile la riesumazione. Già accadde una volta, nel 2000, e gli effetti negativi pesarono a lungo. Che senso ha, poi, rilanciare le feste de l’Unità, quasi un brand di marketing, quando l’oggetto in causa smette di esistere?

Senza l’Unità il Pd avrà certo qualche problema da risolvere: l’affidabilità della leadership, il rigore previsionale, la stessa capacità di governare. Certo. Se non si riesce a tenere insieme i gioielli di famigli, è ben difficile riuscire a gestire un paese in crisi e in difficoltà. Quello che si è dentro, si è anche fuori. Non si sfugge alla vecchia sapienza popolare.

E’ vietato sognare in un colpo del destino? Nessuno è in grado di uccidere anche le speranze. Per quanto –come nei film di James Bond- manchino pochissimi minuti al finale di partita. Pd, svegliati. E’ una storia  carica di significati, che dà un bel paio di schiaffi alle soverchie illusioni in una stagione piena di rischi.


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