Lo Stato islamico contro le minoranze religiose: nordovest dell’Iraq nel terrore

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A partire dal 5 agosto, decine di migliaia di civili hanno lasciato la citt di Sinjar e le aree circostantia seguito della ripresa dell’offensiva dello Stato islamico (già Stato islamico dell’Iraq e del Levante) nel nord-ovest dell’Iraq, che ormai controlla tutta la piana di Ninive.

La maggior parte di loro, come le altre decine di migliaia di persone intrappolati sulle montagne a sud di Sinjar, a rischio di morte per fame e disidratazione.

In qualunque territorio abbia conquistato in Siria e in Iraq, lo Stato islamico ha mostrato, nel modo più estremo possibile, di non tollerare qualsiasi gruppo religioso sospetto di rendere impuro il califfato recentemente autoproclamato. Circolano in rete video terribili, la cui attendibilità ovviamente non pu essere accertata: c’è da sperare siano falsi, c’è da temere siano veri.

Prima degli yazidi, della feroce intolleranza dello Stato islamico avevano già fatto le spese la minoranza sciita di rito shabak e la comunità cristiana, praticamente espulsa dalla città di Mosul a luglio. A partire dal 7 agosto, migliaia di persone di religione cristiana sono fuggite dalle città di Qaraqosh e al-Qosh e da altri centri minori, mentre altrettante risultano impossibilitare a farlo.

Decine di migliaia di sfollati sono riusciti ad arrivare nei pressi del confine con la Turchia o a raggiungere le città di Erbil e Dohuk, nella Regione autonoma curda dell’Iraq mentre centinaia di uomini, ma anche donne e bambini di fede yazida potrebbero essere stati rapiti e uccisi dallo Stato islamico a partire dal 2 agosto.

L’immagine romantica del vecchio peshmerga (combattente curdo) che, dopo aver resistito alle politiche genocide di Saddam Hussein, tira fuori dall’armadio il vecchio fucile e sale in montagna per combattere il nemico, deve lasciare il posto a quella di un esodo che per le modalità  se non ancora per le dimensioni  ricorda quello dei curdi del dopoguerra del 1992. Lì una risoluzione dell’Onu, spinta dagli Usa, che impose una no fly zone evitó una catastrofe di dimensioni enormi. Ora, mentre scrivo, si discutono a Washigton altre opzioni, come quelle di colpire lo Stato islamico.


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