Enzo Baldoni vive a 10 anni dall’assassinio per mano violenta in Iraq

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Giornalista e uomo scomodo da vivo, Enzo Baldoni lo è ancora da morto. Dieci anni dopo. Fa parlare e discutere più di ieri di guerra e pace, di giornalismo di verità e legalità. E perciò Enzo Baldoni vive a 10 anni dall’assassinio per mano violenta in Iraq, con le parole e le iniziative di quanti in questi anni non hanno dimenticato e hanno avuto modo di ricordarlo, sia pure a vario modo e con tanto volontariato. I sei anni di battaglia 2004/2010) perché fosse recuperata la salma non furono semplici, soprattutto per i famigliari.
Il mondo giornalistico ha iscritto Baldoni nell’album della memoria dei cronisti italiani uccisi, da innocenti, per aver cercato di fare il loro lavoro di testimoni di verità, pontieri, attraverso un’informazione di prima mano, verso condizioni migliori di convivenza e legalità democratica laddove si continua a fare guerra o laddove il malaffare vuole oscurare i fatti che contano per la vita di tutti. Con intervento del sindacato dei giornalisti e dell’Ordine, dell’Umbria e nazionali, con associazioni  come Articolo21, con istituzioni locali e soprattutto grazie ai famigliari sono state tentate azioni culturali, in nome di Baldini, per sostenere la formazione e la specializzazioni di giornalisti e operatori civili delle aree più critiche, come lo stesso Iraq e l’Afghanistan.

Dobbiamo fare tutti di più, anche se a volte le forze non ci bastano. Ma è doveroso richiamare attivamente la memoria. Nelle guerre, nei rapimenti e negli assassini che rendono ancora più tragici questi contesti, non vi sono caduti di sera A o di serie B. Ci sono caduti innocenti che hanno molto da dirci, dai loro profili, alle loro scelte di indipendenza, alla motivazioni di lavoro e impegno nello spirito della pace. Enzo. Baldoni – come ha efficacemente ricordato Beppe Giulietti – era giornalista indipendente e un operatore sociale di solare impegno umanitario, libero e non legato a nessuno schema di tipo burocratico professionale: “Fu inviso, in vita e in morte, agli integralisti di qualsiasi natura e colore. Non piaceva quel suo modo di essere sempre fuori dal coro e dalle corporazioni, curioso e ficcanaso, sempre alla ricerca delle “periferie oscurate”.

Baldoni era un uomo di pace, non di guerra. Era un portavoce di chi non ha voce, un documentarista originale, diventato vittima innocente di una fazione terroristica in guerra nel martoriato teatro iracheno. Come, a distanza dieci anni, e’ toccato al fotoreporter americano James Foley. Vittime innocenti di crimini bestiali. Assassini mostruosi che continuano a sconvolgere e a rattristare tutti gli uomini liberi. L’informazione libera resta in frontiera. Deve farlo con sempre maggiore responsabilità, attenzione e professionalità, pur sapendo che tutto ciò può non bastare, come visto nel caso dei foto giornalisti caduti in Ucraina e a Gaza, tra i quali due italiani: Andrea Rocchelli e Simone Camilli. Più penetrante deve diventare l’impegno degli organismi internazionali nella valutazione dell’alta esposizione al rischio di giornalisti che operano in frontiera, fino a considerare crimini contro l’umanità gli assassini di giornalisti.

Più penetranti debbono soprattutto essere gli sforzi per la libertà e la sicurezza, per la comprensione e il dialogo.
E infine chiarezza massima s’impone laddove si oppongono ancora carte coperte e esistono dubbi laceranti rimasti senza risposte esaurienti. Per Baldoni ci vollero sei anni perché fosse recuperata la salma. Ma dubbi e misteri resistono sulla sua terribile fine. La denuncia di questi giorni dei dubbi della moglie sul mancato arresto del convoglio della Croce Rossa per recuperare due feriti in un attacco, poi invece rapiti e uccisi a Nijaf, così come l’incertezza su chi davvero ha ucciso (Armata islamica, Al Quaeda, altri?) deve avere risposte chiare e definitive dalle autorità competenti. La nuova fase di riconsiderazione dei dossier secretati può portare una luce definitiva e inoppugnabile sulla vicenda. Sarebbe il miglior modo di ricordare un decennale che non avremmo voluto iscrivere mai nel calendario degli eventi della nostra storia.


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