E’ “notizia” o no, uccidersi pur sapendo che fra quattro mesi si esce dal carcere?

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La “notizia” è stata resa nota da un sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe): “Nella Casa circondariale di Civitavecchia si è tolta la vita A.L.,  una detenuta di nazionalità italiana di anni 42: è il quarto caso in pochi anni che si verifica nella sezione femminile del carcere. Un Reparto il cui Ispettore coordinatore (un uomo) è spesso impiegato in altri servizi d’istituto. Questo episodio deve far capire all’Amministrazione penitenziaria l’importanza di avere un coordinatore stabile del settore detentivo femminile, magari destinando in quell’incarico un Ispettore di Polizia Penitenziaria femminile”.

Il segretario del Sappe, Donato Capece, ha poi dato una ulteriore “notizia” che appunto essendo tale, è stata completamente ignorata: “Negli ultimi vent’anni anni, dal 1992 al 2012, abbiamo salvato la vita ad oltre 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio ed ai quasi 119mila che hanno posto in essere atti di autolesionismo, molti deturpandosi anche violentemente il proprio corpo. Numeri su numeri che raccontano un’emergenza purtroppo ancora sottovalutata, anche dall’Amministrazione penitenziaria che pensa alla vigilanza dinamica come unica soluzione all’invivibilità della vita nelle celle senza però far lavorare i detenuti o impiegarli in attività socialmente utili”. Ripeto: negli ultimi vent’anni 119mila persone hanno posto in essere atti di autolesionismo; e 17mila i tentati suicidi di detenuti, salvati dai “superiori”. Quasi mille l’anno… Sono dati, cifre che dovrebbero inquietare; e che a via Arenula nessuno sia inquietato è motivo di ulteriore inquietudine.

Torniamo alla detenuta che si è tolta la vita. Ha ragione il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni quando dice che l’episodio deve far riflettere anche perché la donna sarebbe uscita dal carcere fra quattro mesi, il prossimo dicembre: “Una persona che, a poche settimane dal fine pena, decide di negarsi in maniera tanto drammatica ogni speranza per il futuro dovrebbe farci riflettere sulla reale capacità della pena di tutelare i detenuti e di garantirne il pieno recupero”. A. L., in carcere dal 2011 per una serie di reati comuni ed aveva problemi di dipendenza dalle droghe, negli ultimi tempi, dicono, aveva manifestato un forte disagio tanto da essere, proprio per questo, sottoposta in carcere alle misure previste in questi casi. L’altro giorno ha deciso di farla finita, si è lasciata andare, non voleva più vivere, anche se fra qualche mese sarebbe uscita di galera. Quattro mesi di attesa insopportabili, in quella cella del carcere di Civitavecchia, più insopportabili della morte. Oppure è stato proprio il pensiero che sarebbe dovuta uscire, e che avrebbe dovuto riprendere la vita che l’aveva portata in carcere; e ha così preferito “chiudere”…non lo sapremo mai.


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