L’insegnante è lesbica.
Le suore la licenziano

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Da una parte una giovane insegnante, che dice:  non mi hanno rinnovato il contratto perché pensano sia lesbica. Dall’altra la scuola, una paritaria trentina, l’Istituto Sacro Cuore, retto da suore, che assicura di non avere licenziato nessuno e che il contratto in questione semplicemente non è stato rinnovato alla scadenza. E’ una storia davvero sgradevole quella che da Trento sta rimbalzando nel Paese. E’ vicenda – sufficientemente netta ormai nei profili .- di discriminazione per ragioni sessuali,  anzi “di scelta sessuale” fate attenzione. Ricostruiamola, per chi ancora non sapesse.

A denunciare tutto è stata la Lista Tsipras, con un comunicato. L’hanno ripresa subito Arcigay, Cgil, Pd, Sel. Persino il coordinatore trentino di Forza Italia si è detto scandalizzato. Di ripresa in ripresa,  la cosa è arrivata su qualche giornale nazionale, sui Tg Rai e non, infine si è accomodata sul tavolo della ministra dell’Istruzione,  Stefania Giannini. Lei, la ministra, ha annunciato di voler valutare la vicenda con la massima rapidità. Qualora emergesse un episodio legato a una discriminazione di tipo sessuale – ha detto – si agirà con la dovuta severità.

In Trentino ne ha parlato anche il presidente della Provincia Autonoma, Ugo Rossi, che è pure assessore all’Istruzione, ribadendo più o meno quanto detto da Giannini. Passaggio non da poco, questo, perché il Trentino – anche qui, ricordiamolo – è provincia autonoma. Significa che è titolare esclusivo delle competenze sulla scuola. Insomma, qui lo Stato mette poco becco e i soldi per far funzionare l’istruzione li mette direttamente la Provincia. Soldi che distribuisce anche alle paritarie, come il sacro Cuore, anzi proprio al Sacro Cuore. Proprio questo particolare, questo fatto dei soldi, ha scatenato molti. Come, si dice: la provincia autonoma – governata da sempre dal centrosinistra – da denaro e tanto ad una scuola che poi, in barba alla Costituzione, non rinnova il contratto ad una insegnante pensando sia lesbica?

Sì, viene da dire, li da. E’ vero che la scuola, più volte interpellata, ha assicurato che non vi è stata discriminazione, che il contratto dell’insegnante era a tempo ed era scaduto e che, quindi, a rigor di diritto non vi è stato alcun licenziamento illegittimo, semplicemente perché non vi era in essere un’assunzione.  Ma la madre superiora, Eugenia Libratore, ha rilasciato una intervista al sito del Corriere della Sera, ammettendo che sì, aveva chiesto alla professoressa conto di voci che giravano sul suo conto. Voleva essere rassicurata, la madre superiora, o in alternativa voleva offrire una via “di guarigione” alla donna. Il tutto in nome della  morale e dell’etica, essenziali per una scuola religiosa.

Il punto triste della vicenda è proprio in questa ultima cosa, nella esigenza di “moralità ed etica”. Perché la suora ha ragione quando dice di pensare che i genitori dei bambini mandati in una scuola cattolica si aspettano insegnanti sposati in chiesa, con figli e senza grilli per la testa. E se sono scapoli o nubili, come minimo devono essere casti, perché insegnano in una scuola cattolica e questo dice la dottrina della Chiesa romana, non altro. Se pensate non sia così, che siano pregiudizi di pochi, potete chiedere un parere alla laicissima Elisa Bellè, dell’Università di Trento. Vi spiegherà che quasi metà degli italiani è infastidita dall’idea che a scuola gli insegnanti possano essere gay.  La stessa percentuale di nostri connazionali non sopporta il fatto che ad essere omosessuale possa essere il medico di famiglia. In queste condizioni, lo sdegno per quello che ha fatto la suora rimane giusto, ma sembra quasi cosa per pochi romantici e libertari che vivono in un  Paese diverso dall’Italia degli italiani


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