Martoglio e gli inganni dell’amor senile

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“L’aria del continente” con Enrico Guarneri, regia di Antonello Capodici, alla Sala Umberto di Roma- L’autore fu sodale di Pirandello e maestro riconosciuto del cinema pionieristico italiano

Perfetto modello di tragicommedia a sfondo grottesco, “L’aria del continente” di Nino Martoglio è ancora vivido esempio di ciò che fu (elargendo non poche eredità al teatro leggero ‘anni sessanta’) il repertorio   popolar-didascalico d’inizio novecento, grato rovistatore di tanto repertorio ‘boulevardier’ della scena francese in anni di bella epoque, trapiantati in una sorta di visione sovvertitrice, assiomatica di insulse saggezze e rustici luoghi comuni. Endemici, a loro volta, di una certa Italietta fatuo-umbertina fortemente suddivisa in invalicabili classi sociali ed in privilegi di cespiti e casati, accumulati da svariati epigoni  della neoborghesia sudista. In epoca post-unitaria a prosecuzione di quella che Tomasi di Lampedusa focalizzava come la ‘stirpe dei Sedara’e dei mezzadri  elevati al rango di piccola borghesia.

Senza  acrimonia,ma con buona dose di ironia e  umana fratellanza (come a sfatare il monito isolazionista “mogli e buoi dei paesi tuoi”)” L’Aria  del continente”   è opera del 1915, ovvero  di quegli  anni  avventurosi,struggenti e ruggenti   videro  l’ex giornalista (e umorista)  di Belpasso, figlio prediletto di un ufficiale garibaldino, inventarsi  ‘promoter’  romano di Luigi Pirandello e  pioniere  post-rivalutato  del cinema europeo , con  film basilari quali “Sperduti nel buio”, “Teresa Raquin” e la fondazione (in perdita) della Morgana Film.   Forse sospinto dallo stesso Agrigentino, già a suo agio in opere a sfondo ‘socio-antropologico’ quali “Lumie di Sicilia” e “A vilanza”  (non più campestri, ma forgiate d’una certa moralità’a tesi’), ecco Martoglio ‘imbattersi’ (e dispiegare) le disavventure amorose di tal  Don Cola Duscio  benestante dell’entroterra catanese, soggiornante a Roma (gaudente e spendaccione)  per   una banale operazione di appendicite . Ma  costretto (da accorto latifondista) a rientrare in Sicilia, mentalmente sovvertito da ‘troppo ponentino’ e   in bella compagnia d’una ‘affettuosa’  canzonettista, sedicente capitolina – anzi ‘romagnola’ – rivelatasi  poi  siculissima e prevedibilmente  fedigrafa, secondo uno schema tartufesco  comprendente plagio, adescamento  e sontuosi regali  di altri componenti dell’entourage dei Duscio (nipote, cognato,compari d’antan).

L’elemento iperbolico e paradossale della  commedia consiste, come molti sanno,  nell’iniziale ed ostentato spirito di stravaganza, larghe vedute,disinibizione del protagonista (ormai ‘uomo di mondo’ nell’accezione babbea, cara a Totò). Dunque nel   suo disprezzo e  commiserazione per la gelosia e la goffaggine dei propri compaesani  (essendosi egli ‘svezzato’ da ogni pregiudizio e bubbone genetico….), roso e lacerato –invece- da più sorgiva  gelosia   e da tutti gli istinti comuni al maschio di falsa emancipazione (semmai esistita). Particolare quest’ultimo su cui Martoglio stende il suo amabile velo di pietas e di umana solidarietà, solido di una cultura umanistica (per nulla derisoria) che lo rimanda alla novellistica del Boccaccio, alla “Mandragola” del Machiavelli, a tanti spunti del teatro plautino dove l’uomo ‘maturo’ è spesso vittima rimbambita d’una concupiscenza  preclusa alla sua anagrafe e scarsa baldanza fisica: sino a riscattare, sullo stesso piano esistenziale, il comportamento della ‘sciabana’ predatoria anch’essa ‘figlia del bisogno’ , delle peripezie del sopravvivere,  e non ‘perfida Lulù’ d’una perdizione scansata (dal maschio) al costo di rientrare nei ranghi del ‘vivere mortifero’ e dimenticare ‘la femmina’ che non ti sia moglie o sorella.

Come annotavano Francesco Savio ed Enrico Lancia nei loro studi sul cinema italiano  del primo novecento (a proposito della trasposizione cinematografica della commedia, datata 1935, protagonista Angelo Musco, regia di Gennaro Righelli), “L’aria del continente” è indubbiamente uno dei testi più equivocati e maltrattati del teatro italiano di scuola parrocchiale e naturalista,nonostante il  suo grumo narrativo (il suo ‘cappio’ al cuore) sia poi proseguito( con più elaborate  stratificazioni stilistico\introspettive)   con titoli d’alta scuola che, per minima competenza,  mi portano a citare tutto un procedere di staffetta:   “L’angelo azzurro” , “Le cocu magnifique”, “L’oscuro oggetto del desiderio” , “…E adesso pover’uomo” , “La migliore offerta”.

Giusto per dire che, di tutto l’apparato farsesco-macchiettistico che ha sempre oberato le innumerevoli rappresentazioni di quest’ibrido martogliano, in quell’asfissiante climax che sono (e restano)  il perbenismo e la derisione del ‘meridione verace’, è bello non ritrovare nulla di nulla in questa recente, spedita edizione che Enrico Guarneri e Antonello Capodici ‘esportano’ con entusiasmo e calore umano dalla Sicilia nativa (anche per noi) ad un pubblico d’altre sponde che mostra di gradire il suo ésprit di ‘leggerezza’, umorismo,comicità non pedante: in quanto  emendata di ogni apologia dello ‘strapaese’ (per un bestiario umano cristallizzato,altre volte, alla parodia del ‘canonici di legno’), dunque  alleggerita dal piacere di un grottesco parsimonioso e non incattivito, dalla stilizzazione di un’insularità centenaria fatta di silhouette inverosimili e da disegno animato, dall’ammiccamento (moderato) verso un dirupo del desiderio e  dei sentimenti che alla fin fine non conosce epoche, geografie, scadenze anagrafiche che non siano il pudore o il timore di rendersi ridicoli.

Il tutto espletato senza lamentazione alcuna su una scena da ‘vaudeville’ frizzante e luminosissima -parsimoniosa  di suppellettili, svenevolezze ed oggetti d’epoca.  Con Enrico Guarneri che fruisce (liofilizzandoli,ovvero senza emulazione) le eredità tonali di Turi Ferro e quelle fisiognomiche di Angelo Musco (encomio senza riserve), trasformandole in elementi di ilarità, mestizia, chiaroscuri e sfumature da compiuto primo-attore.  Fra  un gruppo di comprimari d’alta scuola su cui eccelgono –mi pare- Vincenzo Volo, Rossana Bonafede, lo stesso Capodici e la misurata Emanuela Muni, nel ruolo fuori cliché della sirena incantatrice. Sinceramente  pentita, ma d’un tratto  sparita…

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“L’aria del continente” di Nino Martoglio. Regia di Antonello Capodici. Costumi  di Carmen Ragonese e Riccardo Cappello. Scene di Salvo Manciagli. Luci di Riccardo Nicoloso. Con Enrico Guarneri, Emanuela Muni, Vincenzo Volo, Rossana Bonafede, Carmelo Di Salvo, Rosario M. Amato, Antonello Capodici, Nadia De Luca, Pietro Barbaro, Gianni Fontanarosa, Ciccio Abela. Prod. Abc Teatro Sicilia


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