Non profit, solo un terzo degli enti ha una mission realmente “sociale”

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Lo rivela un approfondimento sulla domanda 27 dell’ultimo censimento Istat a cui hanno risposto solo 143 mila enti. Giuseppe Cotturri: “Sono questi i veri attori di cittadinanza attiva”. Giovanni Moro: “Il non profit è un grande magma su cui occorre fare chiarezza”

ROMA – Delle 301mila istituzioni non profit censite dall’Istat nel 2011 sono solo 143mila gli enti (il 47 per cento del totale) che hanno risposto positivamente alla domanda 27 del censimento: dichiarando di promuovere e tutelare i diritti, di sostenere e supportare i soggetti più deboli e/o di occuparsi di beni collettivi e svolgere attività di cittadinanza attiva. La maggior parte (52,5 per cento) invece svolge attività che rientrano più in generale nella categoria di “socialità”. Un dato messo in risalto da uno studio presentato ieri nel corso del convengo organizzato dall’Istat sul non profit, da Giuseppe Cotturri, docente dell’università di Bari, e che riapre il dibattito su cosa sia realmente questo variegato mondo del non profit.

Nello specifico, delle 143.128 organizzazioni che rispondono alla domanda sulla mission sociale: il 24 per cento dichiara di svolgere attività di promozione o tutela dei diritti, il 28,4 per cento di occuparsi di attività di tipo mutualistico, cioè di sostegno e supporto di soggetti svantaggiati e l’11,8 per cento della cura dei beni collettivi e di attività di cittadinanza attiva. Il 69 per cento di queste istituzioni svolge una sola mission (99.080) mentre il 30,8 per cento indica due o tutte e tre le mission sociali (44.139).  Inoltre, di queste, 40mila svolgono attività di solidarietà per i soci stessi, mentre solo 103 mila svolgono le tre mission con un valore di tipo generale e universalistico e cioè dirette a tutti i cittadini. Enti che lo stesso Cotturri definisce “veri attori di cittadinanza attiva, che realizzano obiettivi generali e concorrono a garantire un tipo di società fondata sui valori di solidarietà e di impegno nel senso più alto”.

Ma chi solo allora le altre 200mila organizzazioni che fanno parte del mondo non profit? “Il 52,5 per cento delle organizzazioni non profit non ha risposto alla domanda  sulle attività civiche rilevanti – spiega Cotturi -. Questo le fa rientrare nella categoria più generale di ‘socialità’. Il grosso è costituito da  attività sportive, culturali e ricreative. Sono quasi 200mila, il  67 per cento di tutte le organizzazioni censite”.

Le risposte alla domanda 27 del censimento, secondo Giovanni Moro, sociologo e autore del libro “Contro il non profit” confermano che quello del non profit è una “grande magma” in cui dentro c’è di tutto. “La rappresentazione dominante di cosa sia il settore si basa su ragioni di benemerenza che riguardano realmente solo un terzo delle organizzazioni che fanno parte di questo mondo– sottolinea – Il resto è una grande massa su cui sono tanti i punti interrogativi che si aprono. Sotto l’etichetta del non profit confluisce infatti un po’ di tutto: dalle associazioni di volontariato ai fondi pensione per avvocati e giornalisti alle fondazioni e le cliniche gestite da istituti religiosi”.  Secondo Moro quello che si genera è solo una grande confusione, che rende difficile anche fare un’analisi dettagliata del settore. “Questo aspetto è stato confermato anche dal convegno organizzato ieri dall’Istat – aggiunge -. E’ difficile anche dare un giudizio sui dati perché non sappiamo realmente di cosa stiamo parlando, cioè questa crescita a che tipo di organizzazioni si riferiscono. Una situazione- sottolinea- che ci dice ancora una volta come sia urgente una riorganizzazione generale dell’intero settore”.

Ma per fare chiarezza sull’universo non profit secondo Moro non basterà l’intervento legislativo, come ipotizzato ieri dal sottosegretario Luigi Bobba, che vede nella legge sull’impresa sociale un’opportunità per correggere gli abusi nel settore. “Storicamente le leggi fatte in Italia hanno creato più problemi di quanti ne abbiamo risolti – continua il sociologo – Il sottosegretario dice di voler fare chiarezza, ma non riesco a vedere come la normativa esistente e la modifica, che da lui stesso è stata proposta, possa portare a questo risultato.(ec)

Da redattoresociale.it


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