Internet cosa? I silenzi del governo sull’agenda digitale

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lla sua impe­riale visita romana, l’amico ame­ri­cano Obama ha fatto cenno al pre­si­dente del con­si­glio ita­liano della nuova linea degli Stati Uniti su Inter­net, cen­trata sul pro­gres­sivo abban­dono del con­trollo di Icann (Inter­net cor­po­ra­tion for assi­gned names and num­bers, l’ente cali­for­niano che finora ha attri­buito i domini)? E Renzi, così attento alla moder­nità veloce del tempo digi­tale, ha preso una posi­zione? Così, nell’appuntamento con la pre­mier tede­sca — Angela Mer­kel che ha par­lato di uno spa­zio euro­peo della rete dopo i cla­mo­rosi svi­luppi dello spio­nag­gio della Natio­nal secu­rity Agency — è stato affron­tato il tema strin­gente del rap­porto tra le isti­tu­zioni e Internet?

Non si dica che ci sono ben altre prio­rità, altri­menti ci arrab­biamo, tanto per abbon­dare in cita­zioni fil­mi­che. Agende digi­tali a parte, da qual­che parte si discute del tema dei temi, dal quale ormai dipende il resto? Clas­si­fica giu­sta­mente Ste­fano Rodotà l’accesso libero alla rete come diritto di valore costi­tu­zio­nale e invoca un Bill of Rights, che sta­bi­li­sca un sistema di rife­ri­mento affatto nuovo. Sì, le forme giu­ri­di­che pre­va­lenti che si muo­vono attorno all’universo media­tico arran­cano, sono vetu­ste e ina­de­guate. Il diritto, ci ammo­ni­scono nume­rosi giu­ri­sti, deve guar­dare la società, scru­tan­done i movi­menti sotto la super­fi­cie dei segni. A seguito di vasti movi­menti di massa capaci di tra­sfor­mare il clima di opi­nione, le cul­ture giu­ri­di­che negli anni set­tanta sfor­na­rono lo Sta­tuto dei lavo­ra­tori; la riforma della psi­chia­tria, la Rai, l’equo canone, oltre a divor­zio e aborto. E non solo. Ora, è essen­ziale che una omo­loga «rivo­lu­zione coper­ni­cana» possa pren­dere vita pro­prio nella rego­la­zione del feno­meno della rete.

Il Bra­sile, sull’onda di un dibat­tito plu­rien­nale di cui fu pro­ta­go­ni­sta l’ex mini­stro (famoso musi­ci­sta) Gil­berto Gil, ha quasi con­cluso l’iter del Marco civil, vale a dire un qua­dro rego­la­to­rio aperto ai con­tri­buti della società e in parte legato alle risul­tanze del dibat­tito dell’Inter­net gover­nance forum. Quest’ultimo è un inno­va­tivo orga­ni­smo delle Nazioni Unite, nato ad Atene nel 2006 e repli­cato a Bil­bao nell’anno suc­ces­sivo per le auto­no­mie locali. L’Igf è un’entità non gover­na­tiva, multi-stakeholder, che ha avuto come primo coor­di­na­tore pro­prio Rodotà, prima che il governo di Ber­lu­sconi nel 2008 abban­do­nasse il campo. La pros­sima riu­nione dell’Igf si terrà nel pros­simo set­tem­bre a Istan­bul. Ci andrà l’Italia (incre­di­bil­mente assente nell’ultima ses­sione di Bali in Indo­ne­sia) e su quale linea? Ecco la vera agenda digi­tale, vale a dire un sistema demo­cra­tico e par­te­ci­pa­tivo che aiuti la costru­zione della cit­ta­di­nanza digitale.

A fronte dei pre­oc­cu­panti silenzi, ecco invece — pun­tuale — entrare in vigore il 31 marzo scorso il rego­la­mento varato dall’Autorità per le garan­zie nelle comu­ni­ca­zioni sul «copy­right on line», su cui già pen­dono alcuni ricorsi al Tar di nume­rose asso­cia­zioni. Dubbi e con­tra­rietà non hanno fatto brec­cia nell’Agcom. Tor­niamo al citato que­sito sull’adeguatezza degli stru­menti giu­ri­dici, occhiuti con la rete e assai las­si­sti con la vec­chia tele­vi­sione. Lo stesso Renzi, nel discorso di inse­dia­mento come segre­ta­rio nazio­nale del Par­tito demo­cra­tico, fu piut­to­sto aspro sul rego­la­mento. Del resto, lo stesso pre­si­dente del’Agcom Mar­cello Car­dani, nell’audizione del 5 feb­braio davanti alle com­mis­sioni cul­tura e tele­co­mu­ni­ca­zioni della Camera, ebbe a sot­to­li­neare che «…Nel momento in cui il Par­la­mento legi­fera, ipso facto il rego­la­mento… è supe­rato…». Appunto, non c’è tempo, come scrisse il famoso matematico.

* da “Il Manifesto”


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