“Nel 2013, nel mondo si è decapitato, fucilato, impiccato, avvelenato, più che nel 2012”. Il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte

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Almeno 778 esecuzioni in 22 paesi: questa, la sintesi numerica del rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo nel 2013, anno in cui sono state emesse 1925 condanne a morte in 57 paesi. (link: http://www.amnesty.it/pena-di-morte-dati-2013).  In assenza dei dati riguardanti la Cina (a causa del segreto di stato imposto dal governo di Pechino, è impossibile dire con esattezza quante migliaia di esecuzioni vi siano ogni anno), l’80 per cento delle esecuzioni registrate lo scorso anno da Amnesty International si è concentrato in tre paesi del Medio Oriente: Iran, Iraq e Arabia Saudita.

In Iran, le esecuzioni riconosciute ufficialmente dalle autorità sono state almeno 369, ma secondo Iran Human Rights occorre aggiungerne almeno altre 300 avvenute in segreto. In Iraq, le esecuzioni sono aumentate per il terzo anno consecutivo: almeno 169, quasi sempre ai sensi di vaghe norme antiterrorismo. In Arabia Saudita (almeno 79 esecuzioni), sono stati messi decapitati anche uomini che avevano meno di 18 anni al momento del reato. Seguono, nella classifica dei paesi fedeli al boia, gli Stati Uniti con 39 esecuzioni (il 41 per cento delle quali in Texas) e la Somalia con 34 esecuzioni (19 delle quali nella regione semi-autonoma del Puntland).

Anche nel 2013, dunque, nel mondo si è decapitato, fucilato, impiccato, avvelenato, più che nel 2012 (anno in cui Amnesty International aveva registrato 682 esecuzioni in 21 paesi). C’è stato persino il ritorno della sedia elettrica negli Usa. Ma proviamo a vedere le cose da un altro punto di vista. Ormai, nel mondo, per un paese che usa la pena di morte, altri nove non vi fanno più ricorso. Trent’anni fa, il numero dei paesi che avevano eseguito condanne a morte era stato di 37, 10 anni fa era di 25. Negli ultimi cinque anni, solo nove paesi hanno fatto costantemente ricorso alla pena capitale.

Inoltre, se nel 2013 Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam hanno ripreso a eseguire condanne a morte, Bielorussia, Emirati Arabi Uniti, Gambia e Pakistan hanno smesso. Due continenti, Europa e Oceania, sono risultati liberi dalla pena di morte. Lo sarebbero da tempo anche le Americhe, se non fosse per gli Usa, dove però col Maryland è salito a 18 il numero degli stati abolizionisti. Nell’Africa subsahariana, solo cinque paesi (uno su 10) hanno eseguito condanne a morte e diversi stati, tra cui Benin, Ghana e Sierra Leone, hanno fatto registrare passi avanti importanti, attraverso modifiche costituzionali o emendamenti al codice penale volti all’abolizione della pena capitale. Nelle Americhe, alcuni stati dei Caraibi hanno svuotato i bracci della morte per la prima volta da quando, negli anni Ottanta, Amnesty International ha iniziato a seguire l’andamento della pena di morte in quella zona.

E questo giorno è iniziato con una buona notizia: Hakamada Iwao, nel braccio della morte da oltre 45 anni in Giappone, ha ottenuto finalmente la riapertura del processo. Condannato a morte nel 1968, ormai quasi 80enne, ha la prospettiva di chiudere la sua vita fuori dal carcere. Sempre che la procura generale non si opponga al nuovo processo. Ha tempo fino al 31 marzo per farlo. Se lo facesse, sarebbe un gesto vergognoso.

* Portavoce Amnesty International Italia


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