Abolire il senato? Prima del come vediamo il perché

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Gaetano Azzariti – Il manifesto

Nella pro­po­sta di riforma del Senato for­mu­lata dal governo la que­stione di fondo appare essere la moda­lità di com­po­si­zione (da una Camera elet­tiva si pas­se­rebbe a un organo com­po­sto da mem­bri di diritto, eletti di secondo grado e nomi­nati dal Capo dello Stato). Solo in seconda bat­tuta ci si inter­roga sulle fun­zioni del «nuovo» Senato. Dovrebbe essere esat­ta­mente il con­tra­rio. Solo una volta defi­nito il «tipo» di bica­me­ra­li­smo si può sta­bi­lire come devono essere sele­zio­nati i suoi componenti.
Da anni sia in sede scien­ti­fica sia in quella poli­tica si discute di come «dif­fe­ren­ziare» i ruolo di Camera e Senato. Da ultimo, è stata la sfor­tu­nata com­mis­sione dei saggi isti­tuita dal governo Letta a for­nire un qua­dro delle pos­si­bili alter­na­tive. Bastava assu­mersi la respon­sa­bi­lità poli­tica di sce­gliere e pro­porre al Par­la­mento un dise­gno di legge coerente.
Così non è avve­nuto. Forse è la volontà di acce­le­rare i tempi scri­vendo un testo poco medi­tato, pro­ba­bil­mente la volontà di non uti­liz­zare nulla di quel che era stato fatto dal pre­ce­dente governo, magari l’esigenza rite­nuta prio­ri­ta­ria di comu­ni­care un solo mes­sag­gio sem­plice e popo­lare: non si pagano più gli sti­pendi dei sena­tori. Come che sia il risul­tato è la defi­ni­zione di un organo fra­gile e poli­ti­ca­mente inu­tile. La nuova «Assem­blea delle auto­no­mie» (il nome attri­buito all’organo che andrebbe a sosti­tuire il Senato), esclusa dal cir­cuito della fidu­cia al governo, dovrebbe essen­zial­mente limi­tarsi ad espri­mere pareri sulle leggi già appro­vate (rimar­reb­bero bica­me­rali solo le leggi costi­tu­zio­nali). Un parere che può essere facil­mente supe­rato dalla Camera, anche nei casi più deli­cati, essendo richie­sta al mas­simo la mag­gio­ranza asso­luta, vale a dire un quo­rum facil­mente rag­giun­gi­bile (con l’Italicum potrebbe far da sola anche la sin­gola lista che ottiene il premio).
Eppure, in que­sto caso ben più che non sulla legge elet­to­rale, ci sarebbe lo spa­zio per un con­fronto. Si può con­tare, infatti, su un dato di par­tenza ormai pres­so­ché una­ni­me­mente rico­no­sciuto: l’attribuzione solo alla Camera del rap­porto fidu­cia­rio con il governo. Ma pro­prio l’esclusione del Senato dal cir­cuito fidu­cia­rio impone di far valere — raf­for­zan­dole — le altre fun­zioni che una «seconda Camera» può svol­gere. Il Par­la­mento, come è noto, non eser­cita solo la fun­zione legi­sla­tiva (ed anzi, da ormai molto tempo que­sta è in crisi), ma anche fun­zioni di con­trollo, di garan­zia, d’inchiesta, di rac­cordo con le istanze sovra­na­zio­nali e con quelle locali. A fronte dell’importanza di tali fun­zioni si regi­stra un pro­gres­sivo dete­rio­ra­mento della capa­cità di un loro effet­tivo eser­ci­zio. Poche leggi d’iniziativa par­la­men­tare e pre­va­len­te­mente di micro­le­gi­sla­zione (lasciando al governo la legi­sla­zione di prin­ci­pio e quella poli­ti­ca­mente più rile­vante), scarsa capa­cità di con­trollo sull’attività del ese­cu­tivo, inde­ter­mi­na­tezza dell’attività di garan­zia, per­dita di senso e di forza delle inchie­ste par­la­men­tari, mar­gi­na­lità dell’organo della rap­pre­sen­tanza poli­tica nei rap­porti con le istanze e gli organi sovra­na­zio­nali, euro­pei in par­ti­co­lare, scarsa con­si­stenza dei rap­porti isti­tu­zio­nali tra Par­la­mento ed auto­no­mie locali.
Quale migliore occa­sione di una riforma del bica­me­ra­li­smo per­fetto per porre la que­stione del raf­for­za­mento del sistema parlamentare.
Non dico che sarebbe facile indi­vi­duare un equi­li­brio cor­retto tra Camera e Senato nell’ipotesi in cui si volesse seria­mente dif­fe­ren­ziare il bica­me­ra­li­smo, e il pre­sup­po­sto con­di­viso (la sot­tra­zione al Senato del rap­porto fidu­cia­rio) non esenta dalla neces­sità di un attento lavoro di sin­tesi e scelta, pro­ba­bil­mente foriera di divi­sioni e con­flitti tra le forze poli­ti­che, non­ché tra le opi­nioni della cul­tura costi­tu­zio­na­li­stica. Nes­suno può pen­sare che met­tere le mani su una Costi­tu­zione sia un’operazione indo­lore e soprat­tutto priva di rischi. Ma almeno dovrebbe essere chiara la dire­zione di mar­cia e l’obiettivo comune. Sono molti anni che si denun­cia la debo­lezza pro­gres­siva del Par­la­mento e la ricerca di una sua cen­tra­lità è la vera scom­messa costi­tu­zio­nale da rac­co­gliere.
Così una scelta tra le diverse fun­zioni prima elen­cate dovrebbe essere neces­sa­ria­mente com­piuta, ride­fi­nendo le com­pe­tenze tra le due Camere. Non solo. È pro­prio a seguito — e in con­se­guenza — di que­ste deci­sioni di sistema che potranno anche coe­ren­te­mente defi­nirsi i cri­teri di com­po­si­zione della «seconda Camera». Ad esem­pio, riser­vare la tito­la­rità del rap­porto di fidu­cia con il governo ai soli depu­tati non com­porta ine­vi­ta­bil­mente l’esclusione dell’altro ramo anche dalla fun­zione legi­sla­tiva, tut­ta­via dovrebbe essere chiaro che nel caso per­ma­nesse la con­cor­renza nella pote­stà legi­sla­tiva si dovrebbe dif­fe­ren­ziare la fonte di legit­ti­ma­zione del Senato. Non avrebbe altri­menti senso favo­rire la for­ma­zione del governo, sem­pli­fi­cando l’ottenimento della fidu­cia adot­tando sistemi elet­to­rali pre­miali, e poi con­fer­mare le logi­che duali del bica­me­ra­li­smo nel momento dello svol­gi­mento dell’attività legislativa.
Se dun­que si vuole man­te­nere un’ampia com­pe­tenza legi­sla­tiva per il Senato (le leggi costi­tu­zio­nali fareb­bero comun­que caso a se) può essere con­di­visa l’idea di un’elezione di secondo grado espressa diret­ta­mente dagli enti ter­ri­to­riali. Si trat­te­rebbe, in caso, di valu­tare i mec­ca­ni­smi in con­creto, per­so­nal­mente sono molto dub­bioso circa la pos­si­bi­lità di una com­po­si­zione mista fatta da pre­si­denti di Regione, alcuni con­si­glieri regio­nali e rap­pre­sen­tanza di sin­daci. Non mi pro­nun­cio poi sulla incom­pren­si­bile indi­ca­zione con­te­nuta nel dise­gno di legge del governo di far nomi­nare un nutrito gruppo di sena­tori (ben 21) dal Capo dello Stato per un lasso di tempo di sette anni: una pro­po­sta che non vedo come possa con­ci­liarsi con alcuno dei pos­si­bili modelli di bica­me­ra­li­smo. A meno di non voler richia­mare — peral­tro impro­pria­mente — lo Sta­tuto alber­tino. Così anche la scelta di raf­for­zare la fun­zione di par­te­ci­pa­zione e rac­cordo degli enti ter­ri­to­riali all’attività non legi­sla­tiva dello Stato cen­trale può far rite­nere ido­nea la solu­zione della rap­pre­sen­tanza indiretta.
Se, invece, com’è nella pro­po­sta del governo, il Senato (ovvero l’«Assemblea delle auto­no­mie») si dovesse limi­tare ad espri­mere pareri sull’attività legi­sla­tiva mono­po­liz­zata dalla Camera, l’elezione indi­retta non avrebbe grande signi­fi­cato. Se non quello di ucci­dere la seconda Camera per sosti­tuirla con una «Con­fe­renza Stato, Regioni auto­no­mie locali», dai poteri mera­mente con­sul­tivi. Una tale “Con­fe­renza” non avrebbe però nes­sun biso­gno di essere col­lo­cata in Costi­tu­zione, tant’è che già opera, con com­pe­tenze diverse, nel nostro ordi­na­mento. Più coe­rente sarebbe allora indi­care la via mae­stra — che ha una sua nobile tra­di­zione di pen­siero — del mono­ca­me­ra­li­smo integrale.
Diverso ancora sarebbe se si optasse per una distin­zione più radi­cale, la solu­zione pre­fe­ri­bile. Lasciando alla Camera sia il rap­porto fidu­cia­rio sia gran parte dell’attività legi­sla­tiva (fatte salve, oltre alle leggi costi­tu­zio­nali, le leggi in mate­ria di libertà e diritti fon­da­men­tali delle per­sone), accen­trando sul Senato le fun­zioni di con­trollo, di garan­zia, d’inchiesta, di rac­cordo con le istanze sovra­na­zio­nali. In tal caso però, il cri­te­rio di com­po­si­zione dovrebbe essere quello più con­ge­niale alla rap­pre­sen­tanza di tutte le forze poli­ti­che e i gruppi sociali. Un sistema che favo­ri­sca le mino­ranze, che svolga un pre­zioso ruolo di inte­gra­zione e di riav­vi­ci­na­mento dei sog­getti sociali alle isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive. L’elezione a suf­fra­gio uni­ver­sale con sistema pro­por­zio­nale sarebbe il modo di com­po­si­zione più ade­guato. Magari ridu­cendo il numero di sena­tori. Un Senato che, anche gra­zie alla sua piena e diretta legit­ti­ma­zione demo­cra­tica, sia in grado di bilan­ciare la gover­na­bi­lità assi­cu­rata alla Camera.

Da libertaegiustizia.it


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