“Uffici stampa, l’anello di congiunzione tra i media e la realtà interna”. L’analisi degli studenti della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso

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Proprio un anno fa di questi giorni, il mondo degli studiosi di comunicazione – e non solo – scopriva, chi compiacendosi e chi sollevando le sopracciglia, che anche nella  “comunicazione politica” avevano fatto irruenza i cinguettii. Twitter, in altre parole, ma anche Facebook e, in generale, tutti i social network più diffusi erano diventati indispensabili strumenti di comunicazione. McLuhan ebbe a dire che “il mezzo è il messaggio” e oggi, a buon ragione, c’è chi sostiene che ormai “il mezzo è addirittura l’evento”, e si chiede: “Quei cinguettii sono strumento o sostanza?”.
D’altronde, Obama (appena rieletto) e tutti gli altri leader mondiali avevano impostato le loro campagne “a misura di smartphone”.
Fra le analisi del fenomeno più serie e competenti, quella di Sara Bentivegna, docente di Comunicazione Politica e Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa e dei nuovi media alla Sapienza, pubblicata il 23 febbraio 2013 su Europa.

Scrive Bentivegna: “La campagna elettorale appena conclusa non sarà certo ricordata come una delle migliori di questo Paese. È altrettanto certo, però, che essa sarà ricordata per l’improvvisa centralità di Twitter nella sua quotidiana costruzione e nel racconto che tutti quanti noi abbiamo contribuito a darne… Il più attivo risulta Berlusconi (con un valore medio di 132 tweet al giorno) seguito da Grillo (83), Monti (39), Bersani (17), Ingroia (9) e Giannino (6)… Il formato del tweet ricorda molto da vicino quello del classico sound bite, spesso tratto da partecipazioni a programmi televisivi o estrapolato da discorsi”. Insomma, un utilizzo del social network come un megafono, un’amplificazione – date le dimensioni lillipuziane dello spazio in termini di testo a disposizione – della propria visibilità. Informazioni? Veramente poche. Eppure, si trattò di un vero tsunami che, partito  dalla politica, investì anche chi ha responsabilità amministrativa: gli uffici stampa pubblici.

Il mandato fondamentale del comunicatore pubblico è istruire il cittadino per evitargli di violare la legge. E per quanto riguarda modelli e strumenti comunicazionali, oggi l’addetto stampa pubblico è convinto che non basta emanare una circolare, per agevolare e consentire la piena consapevolezza da parte di tutti. Per esempio, ancora molta strada deve essere fatta sul linguaggio. Ma, a fronte di una lentezza esasperante nell’adeguare, innovandoli, gli strumenti di base per soddisfare le sacrosante pretese di trasparenza da parte della gente, inaspettatamente il comunicatore pubblico ha scoperto i social network. E’ un bene, un male? Il dibattito è in pieno fervore.

Gli studenti della Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso, senza nessuna pretesa di scientificità per la modestia del campione consultato, nell’ambito delle ore dedicate alle tecniche giornalistiche – l’Ufficio Stampa, hanno svolto un’esercitazione che, in ogni caso, offre alcuni significativi spunti di riflessione sulla materia. Hanno chiesto a un gruppo di giornalisti dalle diverse specializzazioni e di tutto il ventaglio dei differenti media, se, quando, come utilizzino i servizi degli uffici stampa, quali le luci e quali le ombre in questo loro rapporto e, soprattutto, una loro opinione per quanto riguarda il recente utilizzo da parte della comunicazione pubblica dei nuovi strumenti come i social  network. Le stesse domande, ovviamente ri-orientate, le hanno poi rivolte ad altrettanti responsabili di ufficio stampa.

Tutti i giornalisti delle testate – agenzie, carta stampata, radio-tv – concordano sostanzialmente che il ruolo degli uffici stampa è fondamentale. “Forse una volta se ne poteva fare a meno, ma oggi no”. Funzionano da strumento di mediazione, sostengono, anche se sarebbe auspicabile un po’ più di tempestività, al passo con i tempi frenetici dell’informazione odierna. Alcuni, naturalmente, non trascurano di sottolineare l’importanza dei rapporti diretti con i “protagonisti”, siano essi star dello sport o dello spettacolo, leader politici o vertici della PA. Ma, aggiungono, l’ufficio stampa ci facilita il lavoro. Per quanto riguarda l’utilizzo dei social network da parte delle strutture comunicazionali, è un coro di “stanno cambiando l’approccio con le fonti”. Sono strumenti che vanno presi con le pinze, possono essere preziosi, ma a volte c’è roba pericolosa, come le finte notizie. Il successo è indubitabile, l’attendibilità un po’ meno. Serve un monitoraggio continuo, ci vorrebbe una legge.

E’ chiaro a tutti che il social network, sia il tweet che la pagina Facebook, si rivolge a un pubblico indifferenziato, non è dedicato al professionista dell’informazione. Un occhio, comunque, ce lo buttano tutti. Anche se, hanno rilevato alcuni, il nostro lavoro rallenta, perché siamo obbligati a verificare non soltanto quanto ci viene comunicato ufficialmente tramite un comunicato, ma anche quanto si viene a sapere tramite il social network. Un po’ più severo è risultato l’atteggiamento di chi lavora in agenzia di stampa: utilizzando quelle piattaforme, le fonti tendono a bypassarci. Dobbiamo sempre stare sul chi vive, si lamenta.

Quello di scavalcare il giornalista sembra uno sport, invece, che piace molto all’addetto stampa. Perfettamente consapevoli che “l’ufficio stampa è l’anello di congiunzione tra i media e la realtà interna – “porta dentro informazioni e istanze provenienti dai media e si rivolge ai media per far conoscere le nostre attività, i risultati, le proposte” – gli addetti alla comunicazione sono troppo spesso frustrati dal dover affrontare situazioni critiche, che sono obbligati a gestite in maniera oggettiva e senza sfuggire o mistificare. Di questi tempi non è un lavoro facile. Si consolano quando riescono a conquistare l’interesse dei media, “oggi – lamentano – sempre più legato al sensazionalismo e al catastrofismo”, ma esultano quando riescono a parlare direttamente a tutto il popolo della Rete.

Così i nuovi media diventano essenziali, agli occhi degli addetti stampa, “per raggiungere quella fetta (crescente) di cittadini che non si informano più (o non soltanto) sui media tradizionali”. Quindi, sottolineano, occorre distribuire informazione istituzionale su tutte le piattaforme su cui si possono trovare utenti. Con un onere in più: poiché nei social media anche gli utenti producono contenuti e il ruolo di un ente pubblico è quello di dare risposte, non di fare domande, si ha una responsabilità sociale oggettiva, se si intende veramente migliorare i servizi ed essere più trasparenti.


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