La riforma elettorale: un testo da migliorare, senza inganni per gli elettori

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Alcuni mesi fa avevamo detto che la riforma elettorale rischiava di andare verso una soluzione assai acrobatica. Il rischio c’è. Il testo base in discussione (rapida, ci mancherebbe) alla Commissione affari costituzionali della Camera, infatti, è proporzionale ma ha un premio di maggioranza, che può essere assegnato al primo turno (se la coalizione più votata arriva al 35%) oppure al ballottagio tra i due migliori (si fa per dire, visto che non hanno raggiunto neppure il 35% dei consensi). Il sistema è completato da liste bloccate, non troppo lunghe (ma neppure troppo corte, potendo arrivare fino a sei candidati) e da soglie di sbarramento, troppo alte (potendo arrivare all’8%, che non è una soglia europea, come si è cercato di dire, visto che non pare ce l’abbia nessun altro e che l’UE, per l’elezione del proprio Parlamento, la consente agli Stati fino ad un massimo del 5%).
Dei tre sistemi che il segretario Renzi aveva tratteggiato (spagnolo con premio, Mattarella con premio, legge elettorale comunale – che il premio ce l’ha di suo – con ballottaggio tra le due coalizioni più votate) si è creato un ibrido tra il primo e il terzo, nonostante, guardando alle proposte pendenti in Parlamento, fosse il secondo (magari senza l’alterazione del premio) quello sul quale potevano forse registrarsi le maggiori convergenze, come sostenuto durante tutti i mesi della campagna congressuale e poi  dopo, fino all’ultima direzione del PD, da Pippo Civati.

La proposta, che mercoledì sera ha finalmente assunto la veste di un articolato su cui si può ragionare meglio, giunge all’indomani della sent. n. 1 del 2014 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del Porcellum, relativamente al premio di maggioranza della Camera dei deputati, ai premi di maggioranza regionali per il Senato e alle liste bloccate, restituendo così un sistema elettorale proporzionale, con le soglie di sbarramento e il voto di preferenza (unica). La ragionevolezza e la proporzionalità rappresentano la chiave della decisione (almeno sui premi di maggioranza), perché – dice la Corte – le esigenze di governabilità non possono alterare oltre un certo limite la rappresentanza.

Questi criteri non sembrano ben rispettati dalla proposta in esame, né in relazione al premio di maggioranza né alle soglie di sbarramento. Come dicevamo, infatti, si attribuisce a chi abbia riportato anche soltanto il 35% dei voti, un premio del 18%, pari cioè ad oltre il 50% del risultato effettivo. D’altra parte le soglie di sbarramento crescono molto rispetto alle attuali e giungono – per le liste non coalizzate – a percentuali che non risultano avere uguali in Europa (spingendo per di più a coalizioni “insincere” per poter godere di uno sbarramento agevolato).
Ma la proposta sembra criticabile soprattutto in relazione alla possibilità dell’elettore di far pesare il suo voto. Su questo la Corte costituzionale è stata chiara: gli elettori non si ingannano; devono comprendere gli effetti del loro voto. Ora, nel sistema proposto, vi sono circoscrizioni regionali e collegi plurinominali, che fanno riferimento ad un determinato territorio (che sarebbe stato preferibile più contenuto), ma il riparto dei seggi tra le liste avviene a livello nazionale (come richiesto dai partiti medio-piccoli, che altrimenti sarebbero rimasti esclusi). Così le assegnazioni dei seggi sul territorio possono “saltare”: prevede, infatti, la legge che se il numero dei seggi assegnato nelle circoscrizioni ad una lista supera il totale alla stessa spettante a livello nazionale, si sottraggono i seggi in eccedenza a partire da quelle circoscrizioni che ne hanno avuto assegnati di più (voilà). Il superamento di questi punti critici viene suggerito dal documento offerto, all’indomani della presentazione del testo base, da Civati, il quale prevede una maggiore ragionevolezza nell’assegnazione del premio, una riduzione delle soglie di sbarramento (senza distinzioni tra liste coalizzate e non), il collegio uninominale, con assegnazione dei seggi direttamente sul territorio, da collegare ad elezioni primarie regolate per legge.

Sui primi due punti (premio e soglie), in realtà, si registra una convergenza trasversale che potrebbe lasciare ben sperare. Assai meno sul collegio uninominale e – soprattutto – sulla (connessa) diretta attribuzione dei seggi sul territorio, che, in effetti, modificherebbe assai significativamente il sistema. Ciò su cui, infatti, si è registrata dall’inizio una certa (infelice) trasversalità è la tendenza a voler assicurare la governabilità, anziché attraverso un sistema (almeno prevalentemente) maggioritario, come normalmente avviene nelle democrazie avanzate, attraverso un “premio” che assicuri comunque una maggioranza. In questo si legge la debolezza delle forze politiche che sembrano ammettere di poter vincere solo per legge, attribuendo un bel premio al migliore perdente.
In tutto questo, il dibattito si va concentrando sulle preferenze, rivendicate con forza mai immaginata anche da chi probabilmente non avrebbe grandi chances di essere “preferito”. La volontà dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti è legittima e molto ben comprensibile, soprattutto dopo anni e anni di listoni bloccati (voluti dalla gran parte di coloro che oggi sostengono la preferenza), ma continuiamo a ritenere che il collegio uninominale, possibilmente collegato a elezioni primarie, realizzerebbe in modo anche più soddisfacente il rapporto eletto-elettore.

D’altronde la odiosità delle liste bloccate derivava anche dal fatto che – come noto – con il Porcellum una stessa persona poteva candidarsi anche in tutte le ventisei circoscrizioni della Camera (e qualcuno – si sa – lo ha fatto davvero) scegliendo dopo dove essere eletto e decidendo così chi tra i primi dei non eletti diventava parlamentare e chi no. Ecco questa è stata ritenuta dalla Corte costituzionale un’aggravante delle liste bloccate, un (ulteriore) inganno agli elettori. Uno dei punti migliori del testo presentato mercoledì sera era proprio il divieto di candidarsi in più circoscrizioni, che, invece, si propone di modificare. Ecco, alla ripresa dei lavori, la Commissione affari costituzionali della Camera dovrebbe resistere a qualunque proposta di modifica che si riveli un inganno per gli elettori, recependo, invece, quelle che mirano ad assicurare una effettiva rappresentanza e una reale possibilità di scelta. Di questo c’è urgenza; di nuovi inganni elettorali no. Per questi far presto non serve.


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