La Rai della tolleranza

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Volevo chiudere bene il 2013, mi sono letto un po’ di giornali che nell’ultimo giorno dell’anno fanno riassunti di quello che abbiamo già vissuto e lanciano speranze dritte come un laser in cielo. Così, abbastanza soddisfatto dei tanti incontri, giornalistici beninteso, mi sono messo anche a leggere il pregevole saggio di fine d’anno della Milena nazionale, della Gabanelli che non ride mai e fa Report per missione e naturale inclinazione al giornalismo puro. Insomma una brava professionista circondata da tanti collaboratori che guadagnano molto meno di lei e tuttavia sprizzano la stessa travolgente simpatia. Comunque sia, a me Report piace, non cambia quasi mai nulla dopo il suo passaggio, però mi piace lo stesso.

Chi l’ha detto che un buon giornalismo deve cambiare il mondo? Basta raccontarlo, con capacità e dati veri, e il gioco è fatto. Leggendo la divina Milena però inciampo in un passo tutto dedicato alla Rai, a quella stessa azienda di Servizi Pubblico che la nostra eroina imbronciata, sono certo, difende a spada tratta, più o meno come fanno quelli che ci lavorano tutti i giorni e seriamente. Ma lì lei deraglia un po’ e si produce in una bella invettiva contro la mia testata, la Tgr, la Testata giornalistica regionale. Ora, difficile che l’intelligentissima e integerrima Gabanelli non sappia che questa testata, tra l’altro la più grande italiana e d’Europa, è quella che fa la differenza vera tra il Servizio Pubblico e gli altri. Redazioni seminate in tutte le regioni che danno servizi e notizie ai Tg e GR nazionali e poi si fanno anche il loro, anzi “i loro”, Tg e Giornali Radio. Quella testata dove si inizia a lavorare alle 5 e mezza del mattino e si smette dopo la mezzanotte, insomma quel posto dove si racconta il “piccolo” mettendolo nel grande senza preoccuparsi di quante volte ci stia.

Qui la collega Gabanelli si lascia andare a una serie di luoghi comuni e informazioni errate, tutte belle ringhiose e messe in fila come si fa con le inchieste serie, giuste e ordinate. Mamma mia, e io che volevo chiudere un anno difficile, ben descritto nella prima parte del pezzo di Gabanelli sul Corriere della Sera, con un po’ di leggerezza. Invece: 25 sedi al pubblico ludibrio, che poi sono una per regione quindi 20 più due sedi distaccate in regioni grandi, cioè 22; palazzi descritti come fonderie di denaro e soprattutto, e lì francamente mi sale la pressione, giornalisti che reggono il microfono all’assessore più zozzone e forforato che c’è e lo fanno in modo compiacente. Di nuovo, mamma mia, Gabanelli che t’abbiamo fatto? Che obiettivo hai? Dove pensi di arrivare per questa strada? Vorrei tanto venissi a lavorare in una di queste redazioni, almeno così anche noi che veniamo dalla campagna ci abbeveriamo a una fonte pura.

Vorrei ci facessi vedere come fai quando arrivano notizie vere e sono da mandare in onda subito, senza mesi di paziente preparazione. Vorrei anche guadagnassi quanto quei colleghi che hai appena strapazzato. Mi piacerebbe scendessi da quel broncio a forma di piedistallo e ti facessi un giro in queste realtà che dimostri di non conoscere affatto. Per non dire poi che in nessuna parte del mondo un collaboratore di un’azienda farebbe quello che hai fatto tu. Su una cosa hai ragione: questa Rai e’ un po’ distratta, forse anche “moscetta” e un po’ troppo tollerante. Qui non ho dubbi: una Rai così non serve al paese. Vorrei recuperasse il suo orgoglio e lo facesse in fretta. Non vorrei diventasse “un’azienda di tolleranza” anche perché a reclutare talenti in materia abbiamo già provveduto abbastanza in passato. Buon anno.


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