A chi si rivolgono le minacce di Totò Riina? Solo a Di Matteo?

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Le dichiarazioni di Totò Riina, intercettate nel carcere, sono ambigue e gravissime. Esse sollevano vari interrogativi. Perché ha fatto tali dichiarazioni pur consapevole di essere intercettato? A chi si rivolgono le minacce? Soltanto a Di Matteo e ai suoi colleghi o ad “altri”? Sono un messaggio per i loro complici latitanti come Messina Denaro, criticato per non curarsi dei suoi amici incarcerati? Perché Riina teme che il processo sulla c.d. Trattativa vada avanti? Forse perché teme che si scopra la verità, non per qualche ergastolo in più. Infatti se il processo dimostra che la strategia stragista non è stata solo una sua invenzione collerica, ma un atto suggerito da “altri” per destabilizzare il Paese in una fase di transizione (crollo del Muro di Berlino, crisi della Democrazia Cristiana, trasformazione del PCI in PDS, situazione sociale in ebollizione per la crisi economica alla quale era collegata un’inflazione mai vista in Italia nel dopoguerra).

L’obbiettivo era di favorire sbocchi politici nuovi che avrebbero cambiato i vecchi equilibri. Da lì a qualche anno nacque Forza Italia che sconvolse i vecchi equilibri politici tra destra e sinistra.
Il Totò Riina non poteva essere né fu lo stratega di tale manovra, ma solo un esecutore. Allora chi pensò e ideò tale strategia se non pezzi, non secondari, della classe dirigente intesa nel suo significato più ampio (cioè politica, istituzionale, economica, sociale) che nel corso della Storia italiana, dall’Unità a oggi, ha mal digerito le regole democratiche sia dello Stato monarchico liberale, sia della Repubblica nata dalla Resistenza e dalla Liberazione.

Quindi le minacce ai magistrati che non vanno minimamente sottovalutate, in verità sono rivolte a quella parte della classe dirigente coinvolta in ogni modo nella strategia stragista.
Dal processo di Caltanissetta sulla strage di Via D’Amelio si apprende, della testimonianza del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, all’epoca distaccata a Caltanissetta per il processo sulla strage, che fu ignorata la segnalazione che portava a Spatuzza e che escludeva lo Scarantino quale soggetto fra gli organizzatori della stessa.

Il pentimento personale e esistenziale di Spatuzza ha sgombrato il campo da ogni equivoco. I Graviano, esecutori della strage, dichiararono allora che si erano messi in mano il Paese, dopo l’accordo con Berlusconi, oggi Riina irride a questa loro affermazione. Perché? A questi interrogativi l’unica via da percorrere consiste nel salvaguardare la vita degli inquirenti a tutti i costi; far svolgere il processo sulla trattativa in tempi ragionevolmente celeri; far assumere priorità politica nelle scelte del Governo, a livello nazionale e a livello locale, il contrasto alle mafie non solo sul piano repressivo, ma affrontandolo in maniera preventiva. A tal proposito, mentre la tematica del confronto sul terreno della mafia in Europa ha fatto strada, in Italia sembra essere passata in seconda fila. Eppure scompaginare il peso economico e corruttivo della mafia renderebbe disponibili enormi risorse finanziarie per la crescita e il rafforzamento dello Stato Democratico contrario a qualsiasi potere occulto.

* presidente del Centro Pio La Torre


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