Perché #Hiv e #Aids non durano un giorno soltanto

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Su Wikipedia, l’enciclopedia online su cui ormai si formano le ultime generazioni, si legge che il primo dicembre è la Giornata mondiale contro l’Aids ed “è dedicata ad accrescere la coscienza della epidemia mondiale di AIDS dovuta alla diffusione del virus HIV”. Un virus che dal 1981 ha ucciso oltre 25 milioni di persone, “diventando una delle epidemie più distruttive che la storia ricordi”, e che “per quanto in tempi recenti l’accesso alle terapie e ai farmaci antiretrovirali sia migliorato in molte regioni del mondo, l’epidemia di Aids ha mietuto circa 3,1 milioni di vittime nel corso del 2005 (tra 2,9 e 3,3 milioni), oltre la metà delle quali (570.000) erano bambini”. Una giornata, nata dal summit mondiale dei ministri della sanità sui programmi per la prevenzione dell’AIDS nel 1988, che è stata adottata in tutto il mondo, e che è organizzata dall’UNAIDS, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa della lotta all’Aids. 

Ma basta ricordarselo per un giorno soltanto?

Ieri Papa Francesco ha dichiarato la sua “vicinanza alle persone che ne sono affette, specialmente ai bambini”, mentre Aung San Suu Kyi, ha lanciato un appello contro la discriminazione nei confronti dei malati. Eppure durante il “World AIDS Day 2013”, che è stato celebrato ieri per sensibilizzare l’opinione pubblica, è stato dichiarato che al mondo oggi vivono circa i 35,3 milioni di persone sieropositive e che ci sono ancora molti che non sono consapevoli di essere contagiati. Forse perché, dopo il boom degli anni ’80 e ’90, ormai di Hiv e di Aids se ne parla pochissimo, soprattutto si parla poco di prevenzione, e l’educazione sessuale nelle scuole è quasi scomparsa, tanto che nella civile Europa, le diagnosi di Hiv sono aumentate dell’8% rispetto a due anni fa. Un panorama che s’incupisce se si pensa che l’Unicef ha reso noto uno straordinario aumento di casi di contagio tra adolescenti, con circa 2,1 milioni di giovanissimi sieropositivi nel 2012, e con decessi per Aids, in un’età compresa tra 10 a 19, che è passato dai 71.000 del 2005, ai 110.000 nel 2012.

In Italia, l’Istituto superiore di Sanità, ha detto che nel 2012 c’erano 3.800 nuove infezioni e che il numero di sieropositivi ora si aggira sui 140 mila, con un aumento nella fascia tra i 25 e i 34 anni. La maggioranza dei nuovi contagi sarebbero – sempre nel 2012 – causati da rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’80,7% delle nuove diagnosi. Il ministero della Salute italiano ha dichiarato che se è diminuito il contagio dei tossicodipendenti, sono però in netto aumento quelli per trasmissione sessuale, e che tra il 2006 e il 2012 i casi che arrivano all’Aids conclamato perché non sanno della propria sieropositività, sono 67,9%. Qui molti giovani pensano che la malattia sia sotto controllo ma c’è anche chi ne ignora l’esistenza, e comunque tra i 16-34 anni, uno su tre non percepisce il contagio come rischio e quindi non si protegge. Il 35% di ragazzi e ragazze, anche se conoscono la malattia, non usa abitualmente il preservativo, soprattutto le giovani che si espongono maggiormente al rischio quando hanno una relazione stabile. Le donne italiane sieropositive sono infine in crescita dal 2001 a oggi, e la cosa grave è che, a differenza della Francia e della Spagna, qui si muore di più. Per questo, in Francia, il ministro della Salute, Marisol Touraine, ieri ha sottolineato l’importanza dei preservativi annunciandone l’abbassamento del prezzo e dichiarando che “il preservativo è decisivo”.  Mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha constatato che, sebbene i progressi fatti a livello mondiale contro l’Aids, i segnali sono “preoccupanti”, in quanto “alcune regioni e paesi stanno rimanendo indietro”. “Per creare le condizioni per una generazione senza Aids – ha detto Ban Ki-moon – dobbiamo anche intensificare gli sforzi per fermare le nuove infezioni da Hiv tra i bambini e garantire l’accesso alle cure per tutte le madri che vivono con l’Hiv. In particolare sollecito intervento per porre fine alla discriminazione e la violenza contro le donne che provocano terribili danni e l’aumento del rischio”.

Le Nazioni Unite ci dicono che se le nuove infezioni sono diminuite del 33% a partire dal 2001, e le morti correlate all’Aids sono calate del 30% dal 2005, è anche vero che ci sono 6.300 nuove infezioni al giorno nel mondo e che 1,7 milioni di persone muoiono ogni anno: dati che dimostrano come in realtà l’epidemia sia in aumento, soprattutto tra le donne e le ragazze. In particolare viene reso noto che se più della metà di tutte le nuove infezioni da HIV si verificano tra i 15 e i 24 anni, oltre il 60% dei sieropositivi in questa fascia di età sono donne di cui molte esposte a violenza sessuale, che nel caso degli stupri in zone di conflitto armato, vengono infette da HIV intenzionalmente in quanto strumento di guerra di un gruppo etnico contro un altro. A questo si aggiungono i contagi per sfruttamento sessuale, matrimoni forzati e l’impossibilità delle donne di pretendere rapporti sessuali protetti o di rifiutare rapporti indesiderati. Ma è l’Africa Sub-Sahariana la regione che continua ad essere più colpita con 25 milioni di persone che convivono con il virus, di cui 2,9 milioni di bambini. Solo nel 2012 il numero delle nuove infezioni è stato di 1,6 milioni di cui 230.000 minori. Tuttavia su scala mondiale, dal 2001 al 2012, il numero di persone che hanno contratto l’Hiv è sceso di un terzo del totale ed è addirittura dimezzato nel caso dei bambini, e anche le morti per Aids, dopo il picco da 2,3 milioni del 2005, sono scese a 1,6 milioni l’anno scorso.

La causa però principale di contagio rimane, in tutto il mondo, il rapporto sessuale non protetto. In Kenya, quasi la metà di tutte le nuove infezioni nel 2008 sono state trasmesse durante rapporti eterosessuali non protetti. Sempre tra il 2008 e il 2009, la prevalenza dell’Hiv tra donne era due volte più alto che per gli uomini, una disparità che aumentava nelle giovani donne di 15-24 anni che hanno quattro probabilità in più di essere infettati con HIV rispetto agli uomini della stessa età. Un trend che sta prendendo piede anche in Cina, come già nel continente africano, dove sono soprattutto le donne a essere più esposte al contagio. Secondo un rapporto Onu, il numero di casi di HIV in Cina sono passati da 48.161 nel 2007 a 92.940 nel 2011, e le stime delle donne contagiate con il virus è passato da 200.900 nel 2007 a 225.700 nel 2009. La Commissione nazionale di pianificazione familiare e di salute deve ancora aggiornare i propri dati, ma afferma che le trasmissioni sessuali rappresentano quasi il 90% delle nuove infezioni, in quanto un quarto delle donne che hanno contratto il virus, lo hanno ricevuto dai loro mariti e partner a lungo termine, e che in cinque province, tra cui Yunnan, Henan e Sichuan, il 32% delle donne contagiate era stata costretta ad avere rapporti sessuali non protetti con il coniuge. La preoccupazione è che la cultura maschilista, dominante in Cina, permetta agli uomini di avere un maggiore controllo sulle loro partner nei rapporti sessuali spesso promiscui e senza protezione, e che quindi l’empowerment delle donne e il lavoro di  advocacy, sarebbe essenziale per affrontare l’epidemia.

Dopo il boom dell’Hiv” di Luisa Betti – Video intervista a Peppe Tulli (nella foto) – Montaggio di Elvio Fontana

http://bettirossa.com/2013/12/02/perche-hiv-e-aids-non-durano-un-giorno-soltanto/


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