Minotauro e la politica

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E’ trascorso meno di un mese dalla prima sentenza a Torino sull’affare Minotauro che ha visto come protagonista l’ex sgarrista della ndrangheta calabrese Rocco Varalli che dovrà comparire in altri processi con importanti rivelazioni per la parte che ha avuto nell’espansione della mafia calabrese al Nord. Non a caso Gian Carlo Caselli, che ha seguito negli ultimi anni con particolare attenzione le vicende di quella che ormai è considerata in tutto il mondo come l’organizzazione più forte ed estesa a livello platenario, parla di un processo importante in grado di far emergere affari e profitti fino a questo momento non individuati dalla giustizia.

Varacalli, che collabora ormai con i magistrati da nove anni, dal 2004, ha fatto oltre quattrocento nomi di affiliati all’universo delle ‘ndrine calabresi arrivate in Piemonte e nelle altre regioni settentrionali da oltre trent’anni e protagoniste di imprese di notevole portata.
Nell’intervista televisiva, fatta ieri sera nella trasmissione “Piazza pulita” a Domenico Iannaccone, Rocco ha rievocato il suo lungo cammino da quando è arrivato in Piemonte a quindici anni come apprendista muratore con un suo zio calabrese. Il ragazzo ottiene immediatamente un milione e mezzo di lire per tenere nascosto in casa un chilo e mezzo di eroina.
Subito dopo Varacalli fa il corriere della droga e il piazzista degli stupefacenti in Piemonte coinvolgendo nella partita anche il sindaco del paese, Natile di Careri, da cui è arrivato. Il giovane si accosta al mondo della politica di cui le associazioni mafiose, la ndrangheta, come Cosa Nostra e la camorra non possono fare a meno e diventa, come molti tra gli ‘ndranghetisti, imprenditore edile ottenendo grandi guadagni e procurandosi appalti miliardari. Le Olimpiadi invernali di Torino nel 2006 come la costruzione del supermercato Le Gru di Grugliasco fanno parte dell’ascesa del giovane calabrese (oggi ha 39 anni) nel mondo piemontese.
A un certo punto, secondo Varacalli, diventato troppo grande e ricco suscita forti invidie e sembrano essere stati altri ‘ndranghetisti a parlare male di lui e a favorirne, con le soffiate, l’arresto che avviene quando il pentito ha con sè un chilo e mezzo di cocaina.
Quello che è emerso dalle rivelazioni di Varacalli, porta a 58 condanne su 75 persone implicate nel giudizio e tra i condannati a Leinì ci sono l’ex sindaco Nevio Coral e personaggi molto noti come Antonino Battaglia, è la penetrazione profonda dell’associazione calabrese nella società piemontese.
Si è potuto apprendere, grazie anche alla testimonianza del maresciallo Luigi Salerno che è diventato per questo un uomo cardine delle indagini sul caso Minotauro, che il locale della ‘ndrangheta distaccato a Torino gode di una completa autonomia nei suoi affari ma i cambi al vertice non possono essere decisi al Nord ma devono essere concordati con la struttura di comando che ha sede in Calabria. E anche sul finanziamento delle ‘ndrine esiste un rapporto preciso tra il ruolo del Nord e quello della direzione calabrese nel senso che ha luogo una regolare cessione di denaro delle locali di Torino a favore di quelle calabresi. Inoltre, nell’associazione calabrese, i detenuti e le loro famiglie sono mantenute completamente dagli ‘ndranghetisti che sono liberi.
Così attraverso la deposizione di Varacalli che continuerà in altri processi in corso si delinea con sempre maggior chiarezza l’architettura potremmo dire politica e istituzionale della ‘ndragheta al nord e questo dovrebbe rendere più agevoli le indagini e i risultati di procure come quella di Torino che da alcuni anni lavora con intensità contro l’organizzazione calabrese. Non è un caso che 30 anni fa, il 26 giugno 1983, fu proprio la ‘ndrangheta ad uccidere per prima un magistrato del Nord, l’allora procuratore della repubblica di Torino, Bruno Caccia.


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