Turchia, 3 mila anni di carcerazione per i giornalisti

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I giornalisti non sono terroristi. Lo slogan lanciato dalla Federazione europea dei giornalisti per la giornata internazionale “Stand up for Journalism” 2013 è risuonato forte anche venerdì 8 novembre di fronte al Consiglio e alla Commissione Europea, nella manifestazione al Rond Point Schuman di Bruxelles organizzata dall’Efj per protestare contro la condanna di cinque giornalisti turchi accusati di “essere membri di un’organizzazione marxista”, dichiarata fuorilegge dalle norme anti-terrorismo del regime di Erdogan. E il giorno prima la stessa Federazione aveva scritto una lettera aperta al commissario europeo per l’Allargamento, Stefan Füle, per accendere i riflettori su una gravissima violazione dei diritti e delle libertà fondamentali in una democrazia, perpetrata proprio mentre riprendevano i colloqui per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.

Ma questo non basta. Tutti i giornalisti e i cittadini europei devono essere impegnati nella denuncia di un verdetto vergognoso, che va oltre il carcere a vita: Füsun Erdoğan, Ziya Ulusoy, Bayram Namaz e Ibrahim Cicek sono stati condannati all’ergastolo, mentre il quinto collega, Sedat Şenoğlu, a sette anni e mezzo di reclusione. Ma in totale, con le pene accessorie e per reati collegati, la sentenza per i giornalisti arriva a 3 mila anni di carcerazione.

Non solo. Altri 59 giornalisti turchi sono in prigione, molti in base alle leggi anti-terrorismo, ma in verità solo per aver svolto la propria professione. Già a partire dal 2010 la Efj ha lanciato una campagna internazionale per la scarcerazione di tutti i giornalisti in Turchia, a cui hanno aderito i sindacati di molti Paesi europei, tra cui la Federazione nazionale della stampa italiana in prima fila, insieme con francesi, spagnoli, tedeschi, belgi, danesi, svedesi, finlandesi, norvegesi e ungheresi. E la Federazione europea è anche assegnataria, insieme con il sindacato dei giornalisti turchi, di un progetto biennale dell’Unione europea (nel capitolo degli Strumenti per la democrazia e i diritti dell’uomo), che a partire dal gennaio 2014 dovrebbe contribuire a sviluppare e consolidare la libertà di stampa nel Paese di Erdogan.

Ecco perché è importante sottoscrivere e diffondere la petizione che la Efj sta promuovendo contro la sentenza di condanna dei cinque colleghi turchi, che trovate a questo link:

https://secure.avaaz.org/en/petition/Justice_for_Journalists_in_Turkey/

così come la petizione promossa dalla Fnsi insieme con Articolo21 per la tutela delle fonti e la cancellazione di tutte le norme che criminalizzano l’attività giornalistica:

https://www.change.org/it/petizioni/i-giornalisti-non-sono-criminali

La libertà di stampa è infatti sotto attacco ovunque, anche nel mondo considerato democratico. E spesso proprio con l’alibi della lotta al terrorismo. Come insegnano le vicende del Datagate da una parte all’altra dell’Oceano. Non a caso la giornata internazionale “Stand up for Journalism” di quest’anno, che si è svolta il 5 novembre in tutta Europa attraverso le iniziative dei sindacati dei giornalisti, aveva al centro proprio la lotta alla repressione della stampa a livello internazionale attraverso le leggi anti-terrorismo. E anche in Italia, il tentativo della politica e dei poteri forti di mettere il bavaglio all’informazione registra sempre nuovi episodi. L’ultimo, solo in ordine di tempo, è la richiesta da parte della Consob alla magistratura milanese dei tabulati telefonici di due giornalisti di Repubblica per un articolo scritto nel dicembre 2012 sulle vicende Fonsai in cui venivano sollevate critiche all’operato dell’Authority di Borsa. Un episodio che la Fnsi ha definito inquietante. E che costituisce un chiaro attacco alla tutela delle fonti, al diritto di critica e al dovere di un’informazione trasparente.

Membro dello Steering Commeettee della Efj
Vicesegretario nazionale Fnsi


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